Articolo
di Casilda Rodrigànez
pubbicato
sulla rivista Ekintza Zuzena e tratto da
http://www.tmcrew.org/femm/storiadelledonne
Le produzioni libidinose
avvengono in genere per autogestire la vita e per la conservazione
di essa. La sensazione di benessere prodotta dalle sue diramazioni
e accoppiamenti, è la guida - come anticamente lo era la
stella polare per i navigatori - che dimostra che tutto funziona
armoniosamente, che tutto va bene. La libido femminile-materna si
situa precisamente all'inizio della vita, accompagnando quindi l'apparizione
di ogni essere umano, ed è imprescindibile per far sì
che lo sviluppo di ogni creatura sia conforme alla propria condizione
e alla continuità della propria specie; per produrre benessere
e autogestione della vita stessa.
In tutti i mammiferi c'è una spinta o un'attrazione mutua
tra madre e cucciolo, ma nella specie umana - che è una specie
neoténica (1) con un periodo prolungato di gestazione
fuori dall'utero - questa spinta avviene con una enorme produzione
libidinosa per sostenere tutto il periodo di interdipendenza tra
madre e neonato. Come afferma Balint, si tratta di uno stato
simbiotico (e non una serie di accoppiamenti puntuali) tra
madre e piccolo, che necessita di un'enorme potenza libidinosa.
Questa carica libidinosa particolarmente forte, al fine di contrastare
il fenomeno neoténico e assicurarci la sopravvivenza, dimostra
secondo quanto asserisce già l'antropologia accademica (2)
che le donne furono le prime artigiane, le prime agricoltrici e
responsabili dell'origine della civiltà umana.
La qualità specifica della libido materna è il divenire
passione irrefrenabile per la cura del piccolo essere (che è
anche quello che l'ha indotta); passione di nutrirlo, proteggerlo
dalle intemperie, dal freddo e dalla siccità, di dargli benessere;
questa passione sviluppò l'immaginazione e la creatività
delle donne per raccogliere, filare, tessere, costruire ripari,
conservare e condire alimenti, fare vasi di terracotta, ecc. La
cura del piccolo diventa la priorità assoluta della madre
accanto alla quale tutti gli altri interessi si dissipano. E' la
condizione stessa, la qualità del desiderio e dell'emozione
materna, che per la cura della vita viene scaturita dai corpi materni.
Qualsiasi invenzione d’amore spirituale non arriva neanche
ad essere una brutta copia, un pallido riflesso dell'intensità,
della passione e dell'identificazione corpo a corpo assoluta tra
madre e neonato. Questa qualità della libido materna non
è una casualità ne è arbitraria. Nella prima
tappa, il corpo materno è il nostro nesso d’unione
con il resto del mondo, e da questo stato di simbiosi si possono
riconoscere i nostri desideri e necessità; d'altro canto
è questo stesso stato che potenzia le facoltà e energie
necessarie per soddisfarli.
La nostra società attuale non ha niente a che fare con la
vita umana autogestita; da circa 5000 anni viviamo in una società
che non è organizzata in modo da dare benessere ai suoi componenti,
ma solo per realizzare il potere. Quindi, al Potere da fastidio
la sessualità delle donne, i corpi femminili che secernono
la libido materna.
Una società composta da corpi femminili che producono la
libido materna è incompatibile con tutto il processo quotidiano
di repressione che implica l'educazione di milioni di bambini e
bambine in questa società. La struttura patriarcale esige
che il bambino cresca in uno stato di necessità e paura;
che abbia conosciuto la fame, il dolore, e soprattutto la paura
della morte durante il parto e subito dopo per l'abbandono, paura
questa che psicosomaticamente qualsiasi cucciolo di mammifero sente
quando si rompe la simbiosi. Per questo, la società patriarcale,
durante questi millenni, si è occupata di distruggere la
simbiosi tra madre e neonato (Michael Odent) (3) affinché
quest'ultimo si trovi in mezzo ad un deserto affettivo, all'assenza
libidinosa e alle mancanze fisiche che accompagnano la rottura della
simbiosi e per le quali il suo corpo non è pronto.
A partire da questo stato, che è l'opposto di quello simbiotico,
si organizza la sopravvivenza sottomettendosi alle regole previste
dalla società adulta, a patto di essere "un(a) bambino(a)
buono(a)", vale a dire che non piange quando resta solo nella
culla, che mangia ciò che decide l'autorità competente
e non ciò che richiede la saggezza del suo organismo; che
dorme quando conviene all'autorità competente e non quando
arriva il sonno; che manda giù i propri desideri pur di ottenere
un'accettazione della propria esistenza che fu messa in discussione
con la distruzione della simbiosi; compiacendo gli adulti con comportamenti
strambi, sottomettendosi innocentemente al falso Potere, si corazzano,
automatizzano e assumono gli atteggiamenti convenienti a questa
società di realizzazione di potere - chiamato denaro. Così
inizia la perdita della saggezza filogenetica di 3600 milioni di
anni e la corazza psicosomatica.
Ciò significa che la spirale di mancanza-paura, abbandono-paura
e morte, è relazionata con la spirale pianto-corazza-sottomissione.
La corazza ha due aspetti fondamentali:
1) la rassegnazione davanti alla propria sofferenza (condizione
emotiva per la sottomissione)
2) l'insensibilità davanti alla sofferenza altrui (condizione
emotiva per esercitare il potere)
Ciò significa che per sopravvivere in questo mondo si deve
congelare la sensibilità emotiva specifica dei rapporti mutuali
tipici della vita umana autogestita: perdita dell'innocenza, perdita
della sicurezza visto che la reciprocità non c'è;
un congelamento e un corazzarsi necessari per lottare, competere
e imporsi su chi sta accanto, la guerra per la conquista di posizioni,
per l'usurpazione e l'accaparramento; perché sebbene si voglia
solo sopravvivere in questo mondo, pur di non scarseggiare si deve
possedere, e per possedere si deve in qualche modo rubare e devastare,
e per devastare e rubare si deve essere capaci di esercitare potere
sugli altri esseri umani.
Pur di ottenere tale corazza psicosomatica in ogni individuo, uomo
o donna che sia, e l'apprendimento dei comportamenti e delle strategie
fratricide e gerarchico-espansive della realizzazione del Potere
- ciò che eufemisticamente viene chiamato educazione - sono
necessari corpi di donne che concepiscano senza lo sviluppo sessuale
e libidinoso.
La repressione e la proibizione di coccolare e compiacere gli esseri
umani è esposta molto chiaramente in diversi testi biblici,
ad esempio, e nella Bibbia la ribellione contro il padre si punisce
con la morte.
Vediamo la funzione della libido materna dal punto di vista dei
rapporti sociali:
Nel 1861, Bachofen (4) scrisse un libro nel quale spiega, basandosi
direttamente su alcuni autori della Grecia antica, la qualità
e la funzione sociale e civilizzante della libido materna nelle
prime società umane (ciò che viene già confermato
dall'antropologia con l'apporto delle nuove concezioni archeologiche).
Bachofen dice che la fraternità, la pace, l'armonia e il
benessere di quelle società neolitiche dell'Europa Antica,
scaturivano dai corpi materni, dal materno, dal mondo delle madri.
Non parla di religione ne di un'organizzazione politica e sociale
matriarcale, bensì dei corpi materni.
Ciò significa che quella società non proveniva dalle
idee o dal mondo spirituale, bensì dalla sostanza emotiva
che fluiva dai corpi fisici e che organizzava i rapporti umani in
funzione del benessere; e da dove uscivano le energie che sostenevano
gli sforzi per la cura della vita umana.
Questa strutturazione dei rapporti umani a partire dal materno viene
spiegata così dall'antropologa Martha Moia (5): "Il
primo legame sociale stabile della specie umana (...) fu l'insieme
dei vincoli che uniscono la donna alla creatura che dà alla
luce (...) Il vincolo originale madre-neonato si espande all'aggregarsi
di altre donne (...) per aiutarsi nei compiti comuni di dare e conservare
la vita (...)" unite da una stessa esperienza, formando ciò
che la Moia chiama ginecogruppo. Nel ginecogruppo
il vincolo più importante era quello uterino, nell'aver condiviso
lo stesso utero e gli stessi seni. Questo è l'origine del
concetto della fraternità umana, che si è estratto
dalle sue radici fisiche e si è elevato al sovrannaturale,
per corromperlo e prostituirlo. Il vincolo uterino tra un uomo e
una donna era qualcosa di fondamentale per la riproduzione delle
generazioni in una società di tipo mutuale, orizzontale e
non gerarchizzata, senza il concetto di proprietà né
quello di lignaggio individuale-verticale. Si sa che esistono ancora
delle piccole località sperdute nel mondo dove la società
continua a funzionare così.
Il rapporto madre-neonato e lo spiegamento di libidine all'interno
dei ginecogruppi creava ciò che la Moia chiama "l'ordito"
del tessuto sociale, sul quale s'incrociava l'attività dell'uomo,
la trama. Questo incastro di ordito e trama risultava in quel tessuto
sociale fatto di armonia tramite il quale poteva fluire liberamente
la libido autogestita; un campo sociale percorso dal desiderio di
produrre l'abbondanza e non la mancanza (6). L'archeologia oggi
conferma i rapporti mutuali ed armonici tra i due sessi e tra le
diverse generazioni di quelle società (7).
Queste non sono teorie astratte ma civiltà umane realmente
esistite almeno dal 10.000 a.C., concentrate nell'Europa sud-orientale
fino al Nordafrica, passando anche per Penisola Iberica.
Ma il tipo di società schiavista imposta dalle ondate di
pastori seminomadi indoeurepei alle antiche ville e città
matrilocali, sin dal 4000 a.C., inizialmente sporadiche (8),
non cercavano il benessere e l'armonia bensì il dominio capace
di estrarre, accapparrare e accumulare le produzioni della vita.
Vale a dire, creare Potere a qualunque prezzo, con tutta la violenza
necessaria per provocare la rottura dell'autogestione che strutturava
i rapporti sociali, pur di sedimentare il loro potere contro quella
vita umana autogestita. Per devastare, lottare, conquistare, usurpare
e accaparrare, si richiede un tessuto sociale differente dal precedente:
un tessuto di guerrieri, di capi guerrieri, di lignaggi di guerrieri,
di schiavi, di capi schiavi, di linee di comando, di donne disciplinate
e pronte a corazzare e addestrare la prole, e cioè, a scambiare
la maternità con i lignaggi verticali, ad organizzare la
crescita di questi futuri guerrieri pronti ad uccidere, ad essere
schiavi pronti a dedicare la loro vita ai loro signori; donne insegnate
ad insegnare ai propri figli di negare i loro desideri, di paralizzare
il loro utero, come anche esse hanno fatto.
Ciò significa una società di madri patriarcali, di
donne falliche, che non sono madri vere bensì un surrogato
di madri che non allevano la loro prole per il benessere del tessuto
sociale mutuale, bensì per la guerra e la schiavitù
(9). Come afferma Amparo Moreno "senza una madre patriarcale
ad inculcare nei figli, sin dalla primissima infanzia, ciò
che non dev'essere e che blocchi la loro capacità erotico-vitale
canalizzandola verso ciò che dev'essere, la
legge del Padre, che simboleggia e sviluppa in modo più minuzioso
ciò che dev'essere (10), non potrebbe più
operare.
Si conclude, allora, che la distruzione del maternale non solo distrugge
qualcosa di fondamentale per lo sviluppo fisico e psichico di ogni
essere umano, ma anche la base della nostra condizione sociale e
della nostra società.
Per circa 3000 anni hanno avuto luogo guerre devastanti, che distrussero
completamente le pacifiche cittadine matrilocali e con loro lo sterminio
di intere generazioni di uomini e donne che le proteggevano con
la propria vita. Guerre duranti le quali si schiavizzarono generazioni
di donne che vivevano pienamente la propria sessualità e
che partorivano con piacere e, per citare Bachofen, "generazioni
con le quali è scomparsa la pace nella terra",
perché con esse scomparve il tessuto sociale e il tempo in
cui la maternità era possibile.
Secondo Gerda Lerner (11), i bambini furono la prima mano d'opera
schiavizzata, grazie alla facilità di manipolazione e sfruttamento.
Le donne dei piccoli villaggi conquistati venivano mantenute in
vita per la produzione di mano d'opera, stuprandole e trattandole
come bestie. Così ebbe inizio la maternità per forza
bruta, nell'assenza totale di desiderio.
La consolidazione e la generalizzazione del patriarcato fu un processo
discontinuo e molto ampio, che durò non decadi ne secoli
ma millenni. Tra le guerre c'erano le tregue, le frontiere, la vita
sotto la pressione del nemico, i periodi di "guerra fredda"
durante i quali si fanno le forme di sottomissione volontaria della
donna, prodotte da diversi patti, basate nelle incentivazioni sociali
e nel ricatto emotivo così come nella ricerca delle situazioni
"meno peggio" per lei e per la prole.
Inoltre, l'aggressività del guerriero o la dolcezza dello
schiavo risiedono nel fatto che così fosse fin dalla più
tenera infanzia, ma sono anche dovute all'arte di mettere insieme
la frusta e la fame con i giusti incentivi, basati su falsi miti
e sul ricatto emotivo, di cui ci sono prove abbondanti nell'archeologia,
ma non solo: il famoso Codice di Hammurabi (nota
12), re della Mesopotamia nel 1800 a.C., periodo che denotava
uno stadio già molto avanzato del cambiamento della struttura
socio-culturale.
Alle origini del patriarcato la paternità era adottiva, il
che significa che i primi patriarchi adottavano (13)
i loro seguaci o figli tra i bambini meglio educati e preparati
per la guerra ed il governo degl'incipienti Stati. Le donne acquistavano
un rango in funzione di ciò che diventavano i loro figli
e figlie (spose, concubine, schiave), di modo che la loro sopravvivenza
così come quella dei loro figli dipendesse spesso dalla loro
fermezza nell'addestrarli. Questo è un esempio di incentivazione
alla quale si va uniformando la madre patriarcale. La donna che
subordina il benessere immediato dei propri figli all'ottenimento
del proprio esito sociale, che mantiene il proprio corpo disciplinato
al fine di limitare la libido sessuale per ottenere l'approvazione
fallocratica, fa parte costituente di una società gerarchizzata
e competitiva.
Man mano che scompare la sessualità specifica della donna
e si va consolidando la maternità senza desiderio, si istituiscono
anche modelli di matrimonio, poiché si è già
in grado di predire se una fanciulla sarà "una buona
madre e una buona moglie" e se crescerà la sua prole
di forma adeguata. In realtà, il matrimonio e la paternità
come li conosciamo oggi, risalgono al periodo dell'Impero Romano.
Tra i falsi miti c'è la demonizzazione della sessualità
femminile. Nella Bibbia la cattiveria è per definizione ciò
che viene emanato dal corpo della donna: "Dai vestiti esce
la tarma e dal corpo della donna la cattiveria femminile",
e "nessuna cattiveria è paragonabile alla cattiveria
della donna". La donna deve sentire vergogna del proprio
corpo soprattutto davanti a suo marito; deve coprirsi di veli, considerarsi
impura. Questa è una percezione dei corpi veramente paralizzante.
In tale contesto, la donna seduttrice e sedotta, voluttuosa e bella,
può solo essere considerata una "puttana", assolutamente
incompatibile con l'immagine della buona madre, il cui paradigma
è una vergine che rimane incinta senza conoscere uomo e che
accetta con rassegnazione la tortura e la morte di suo figlio sacrificato
al Padre.
Con il passare del tempo, di generazione in generazione, si va perdendo
la memoria sull'altro modo di concepire la vita e di partorire,
l'altra percezione del corpo della donna, le cui tracce, retrospettivamente,
si possono trovare in tre luoghi: nell'Ade (dove fu collocato tutto
quello che non ci doveva essere e quindi da nascondere), nell’Inferno
(dove va tutto quello che è maligno) e anche nel profondo
del nostro essere psicosomatico.
La millenaria rappresentazione della sessualità femminile
accompagnata da tutti i tipi di torture fisiche e psichiche, è
qualcosa che conosciamo bene. Ma quello che forse si conosce un
po’ meno, è che questa repressione ha avuto l'obiettivo
di impedire l'eruzione della nostra sessualità. Perché
una donna si presti volontariamente ad essere una madre patriarcale
si deve prima eliminare la libido materna impedendo, per tale fine,
lo sviluppo della sua sessualità sin dalla primissima infanzia.
Così si consuma il matricidio storico, somatizzato nel corpo
di ogni donna, generazione dopo generazione. Come ha detto Amparo
Moreno, "ogni volta che partoriamo affermiamo la vita che
non dev'essere, blocchiamo la capacità erotico-vitale del
nascituro, per poi continuare ad educarlo in accordo con l'ordine
stabilito".
Questa è una maledizione di Yahvé: paralizzare gli
uteri per paralizzare la produzione libidinosa della donna e rimpiazzare
il tessuto sociale della realizzazione del benessere con il tessuto
sociale del dominio e della gerarchia.
Tra la devastazione della sessualità e la paralisi dell'utero
si costruisce "l'amore materno" spirituale, destinato
innanzi tutto a neutralizzare e ricondurre le pulsioni e i desideri
che minacciano la repressione e l'addestramento della prole. Insieme
a questo amore, si costruisce l'immagine di abnegazione e sacrificio
della madre, dedita alla guerra domestica per vincere la resistenza
delle creature che fanno parte di quel tessuto sociale.
La "qualità dell'amore" spirituale è quella
di neutralizzare la compassione e il sentimento reciproco che può
irrompere e spaccare le corazze, rendendo impossibile l'accettazione
del sacrificio dei figli al Padre, allo Spirito Santo, al Capitale,
allo Stato, al sistema di istruzione obbligatorio, ecc.
Ma l'amore che esce dalle viscere, a differenza di quello che dicono
uscire dall'anima nascosta dietro ai corpi corazzati, sa soltanto
compiacere i figli ed è incompatibile con la sofferenza e
con l'angoscia che presiede la sua socializzazione.
1) La specie umana
è considerata neoténica perché nata prima del
tempo. Se osserviamo gli altri mammiferi appena nascono si alzano
su quattro zampe e camminano. Con l'acquisizione della posizione
eretta - fatto che portò grandi cambiamenti - il canale per
la nascita della femmina umana si fece più stretto. Si nasce
a testa in giù dopo un giro a spirale, per poter passare
dalla stretta cavità che lasciano le ossa pelviche. Ma dobbiamo
anche nascere con le osse ancora non calcificate, in stato cartilaginoso,
così deboli che ci mettiamo circa un anno per camminare,
e senza denti per cui dobbiamo nutrirci di latte materno per molto
tempo. Abbiamo anche un sistema immunitario senza capacità
autonoma di rispondere all'ambiente esterno, necessitando per questo
di immunoglobulina della madre. Noi abbiamo bisogno del corpo materno
fino al termine di questa formazione extra-uterina.
2) Pepe Rodrìguez, "Dios naciò mujer", edizioni
B., S.A., Barcellona 1999. Vedi anche l'opera del paleontologo americano
Stephen Jay Gould.
3) Odent, M. "El bebé es un mamìfero", Mandala,
Madrid 1990.
4) Scrisse nel 1861 Das Mutterrecht (Diritto Materno).
Da sottolineare che Bachofen non si riferisce mai ad un matriarcato
bensì ad una struttura sociale ginecratica, di diritto
materno.
5) Moia, M. "El no de las niñas", edizioni laSal,
Barcellona 1981.
6) Deleuze, G. e Guattari, F. "El anti-edipo, capitalismo e
schizofrenia". Paidos, Bercellona 1985.
7) Questo fatto assolutamente certo, ed è stato indicato
inizialmente da Marija Gimbutas.
8) Gimbutas, Mellaart, Eisler. Rodrìguez, ecc.
9) Sul matricidio vedi, per esempio, l'opera di Victoria Sau: "La
maternidad: una impostura", Revista Duoda, N.6, Barcellona
1994; "El vacìo de la maternidad", Icaria, Barcellona
1995.
10) Lettera di Amparo Moreno alla Asociaciòn Antipatriarcale,
Boletìn N.4, dicembre 1989.
11) Lerner, G. "La creatiòn del patriarcado", Critica,
Barcellona 1990.
Articolo di Casilda
Rodrigànez
pubbicato sulla rivista
Ekintza Zuzena e tratto da
http://www.tmcrew.org/femm/storiadelledonne/maternita.htm#5
Immagine
Piero della Francesca, Madonna
del Parto, 1459 (Monterchi, Arezzo)
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