Ottobre 2007,
Gloucester
17 liceali si sono fatte
mettere incinte. Le giovani hanno detto di essersi ispirate a film come
"Juno" e "Knocked Up" e di aver fatto un patto segreto
per raggiungere, possibilmente insieme e contemporaneamente, la maternità.
Libere
pance
di Marina Terragni
Le 17 ragazzine incinte del liceo di Gloucester, Massachusetts, 16 anni
e non di più, tengono le bocche cucite. Dicono solo che lo hanno
scelto loro, che avevano bisogno di quel legame per sempre e che i bambini
li vogliono crescere tutte insieme. Com’è che hanno deciso
di combinare quello che poi hanno effettivamente combinato lo si può
solo congetturare.
Da qualche tempo a Gloucester, cittadina a maggioranza bianca e cattolica,
la vita non è facile né divertente. La pesca non tira
più, soldi non ne girano, la crisi d’identità è
forte, le famiglie vanno in pezzi. Dev’essere stato in uno di
quei noiosi pomeriggi d’autunno, quando a studiare proprio non
ce la fai. E allora ti vedi con le altre, ti metti l’eyeliner,
guardi Mtv, fai la gara di tette e cerchi di escogitare qualcosa che
ti porti fuori di lì. Uno di quegli acting out giovanili sempre
a cavallo tra body art, sintomo psichico e rivolta politica: la coscienza
è nel corpo. Una mossa a sorpresa, un’inaspettata giravolta
nella fenomenologia dell’inquieto spirito femminile, che a noi
madri e sorelle maggiori provoca la vertigine di un capovolgimento.
Perché noi siamo quelle che nel controllo della capacità
riproduttiva hanno visto una condizione di libertà, fino alla
negazione, fino al capitale errore di vedere sterilità, emancipazione
e libertà come un tutt’uno. E queste invece si sentono
libere con la pancia.
Il comitato direttivo del liceo di Gloucester la sta mettendo sul piano
della contraccezione e dell’educazione sessuale: probabilmente
è sintonizzato su un altro film. Quanto a film, se un effetto
“Juno” c’è stato è perché le
ragazze erano pronte, hanno voluto vederci questo, la maternità
come rivolta. Il tempo era quello giusto (kairòs). L’avanguardia
della ribellione, appena fino a ieri, era quel sesso praticato con furia
maschile, l’autosessismo delle femmine porche scioviniste raccontato
da Ariel Levy, il veliname, gli esibizionismi lesbici e tutto il resto.
L’ultima inaspettata puntata è questa: pance gravide.
Immagino l’eccitazione inguinale di quel pomeriggio, il patto
di sangue, le telefonate, le chat. E le riunioni nei bagni della scuola,
quelle che ci stanno, le altre che gli danno delle sconnesse, quelle
che mollano a metà strada. Quei cinque o sei ragazzotti-provetta
tirati dentro–le cronache insistono in particolare su un homeless
di 24 anni, verosimilmente inconsapevoli del piano, produttori di seme
da eliminare perché le ragazze non credono che il legame possa
essere con un uomo: solo un figlio è amore senza condizioni.
Strilli di gioia (“Che dolce!”) al test positivo.
Amanda Ireland, 18 anni, stesso liceo, un bambino nato da poco, pioniera
ammiratissima giù nell’atrio, ora sembra pensarla diversamente:
“Ho cercato di spiegargli che non ti senti poi così amata
quando alla fine sei sola con un bambino che alle tre di notte strilla
per la fame”. E dice di avere capito che un figlio ha bisogno
di un padre, che non smetterà mai di cercare l’altra metà
della fotografia. E allora se davvero tu quel figlio lo ami come avevi
programmato, ci starai come un cane. Ma forse qui ricomincia tutto daccapo,
dall’apparente fai-da-te delle origini, ben prima che nascesse
la Storia, da quelle pance che sembravano crescere da sole.
Le ragazzine probabilmente stanno zitte anche perché non saprebbero
bene cosa dire, se non che “quel pomeriggio pioveva e siamo
andate a casa di Vicky…”. Forse a noi, alle loro madri,
è più chiaro quello che hanno fatto. Nella performance
di Gloucester Paola Tavella (“Madri selvagge” etc.) vede
“un gesto di disubbidienza procreativa, di disubbidienza della
differenza sessuale. E’ dire “sono una donna”, e non
un omologo del maschio; è fuoriuscire dal programma procreativo
stabilito: niente bambini fino a chissà quando, oppure il triste
incidente con ciò che ne consegue: aborto, figlio dato in adozione…”.
Genitori disperati, anche. Penso alla figlia unica di una coppia molto
impegnata, di quelle che non hanno mancato una sola riunione politica
e che lasciavano la neonata a dormire nella macchina in sosta. Poi la
ragazza resta incinta con regolare fidanzato a 23 anni, anche perché
forse non vedeva l’ora di restituirsi attraverso un figlio suo
tutto l’amore e la cura che non aveva avuto. E suo padre incazzato
nero, furioso per questo scarto dal suo modo di vedere la vita, che
lo mette brutalmente con le spalle al muro.
Un’altra che capisce Gloucester è Luciana Percovich (“La
coscienza nel corpo” ecc.), femminista che ha vissuto in diretta
il passaggio repentino e violento dalla gonna a pieghe al sesso libero
e obbligatorio, e poi la lotta contro l’aborto clandestino e tutto
il resto: “Lo leggo come un segnale in controtendenza”
dice “rispetto a quello che sta capitando alle più.
Le ginecologhe occidentali registrano un numero crescente di ragazzine
che non ha mestruazioni, sintomo fisico e psichico di un’abdicazione
estrema dal femminile”. Un’anoressia interiorizzata
che non ha più neanche bisogno della magrezza. “Che
17 ragazzine del Massachusetts si siano organizzate intorno a un desiderio
così inattuale mi sembra l’indizio di un risveglio, il
principio di una speranza”.
La sua e nostra adorata Mary Daly, teologa dalla prosa fiammeggiante,
grida da tempo che “la libertà riproduttiva delle donne
è repressa ovunque”. Lo sappiamo bene. La maternità
va pazientemente negoziata con una gran quantità di “nemici”,
dal datore di lavoro ai genitori contrari al partner riottoso e mai
pronto, sperando di riuscire a portare a casa qualcosa prima dei 40.
I fronti di lotta sono questi, per chiunque abbia a cuore le donne,
i loro figli e perciò il mondo. Vedere “Il doppio sì”,
sì alla maternità e sì al lavoro, (Via Dogana edizioni,
appena uscito) per sbigottire di fronte al fatto che oggi tante giovani
donne vogliono bambini, e incredibilmente vogliono anche il tempo e
lo spazio per svezzarli e crescerli e non si rassegnano più al
reportage serale della nonna o dell’educatrice del nido. Altro
che nidi aziendali: qui si mira al cuore dell’organizzazione del
lavoro.
Le pazzoidi, le streghette, le scellerate di Gloucester - “quelle
stupide puttane”, scrive uno online - stanno raccontando
la stessa storia in modo estremo, oscuro e selvaggio.
Che c’è libertà femminile nell’essere liberamente
madri.
Che si deve essere almeno in due, madre e figlio, per essere l’una
che si è.
Che l’emancipazione ha finito il suo giro.
Manca un pezzo importante, certo, alla storia. L’altra metà
della fotografia. La fiducia nella relazione è ancora condizionata.
Ci vorrà che il figlio cresca, rivelandosi quell’altro
che è, per imparare a fare spazio anche a quel terzo - il padre
- che oggi viene tenuto fuori. Ma dategli tempo (non poi molto), lasciate
che la ruota giri ancora un poco, e ci toccherà sentire, dal
Wisconsin o da qualche altro posto d’Occidente, di certe giovanissime
rivoltose che si sposano in massa, e i genitori devastati fuori dalla
chiesa, chiusi nei loro ringhiosi “no comment”.
Articolo di Marina Terragni
Segnalato da Luciana Percovich
Pubblicato su “Il Foglio” del 21 giugno 2008
Immagine tratta dal film
"Juno" di Jason Reitman con protagonista Ellen Page (2007).
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