Ci fu un
tempo in cui tutte le Donne seguivano gli insegnamenti della Grande
Madre, udivano il suo canto nel vento, nel mormorare delle foglie,
nel silenzio della notte e, colme della Sua consapevolezza ne rispecchiavano
i bei lineamenti.
Depositarie della Conoscenza Divina, appresa sin dai primi anni
di vita per trasmissione orale, esse condividevano con amore e indicibile
dolcezza ogni passaggio della loro vita, ogni momento di “morte
nella vita” e di “vita nella morte”. Le loro fasi
muliebri erano celebrate con riti sacri, con feste e manifestazioni
gioiose e probabilmente comprendevano pratiche segrete e lunghe
meditazioni che ispiravano la tenera Comunione con la Dea, fonte
inesauribile di emozioni e sensazioni tanto belle e amorevoli da
non poter essere descritte con semplici parole.
In quel tempo, le Donne-Luna, ovvero le
donne che per la loro perfetta armonia lunare/femminile potevano
essere viste come Figlie della Luna, onoravano i propri cicli di
sangue come momenti di pura magia, di segreta intimità, di
scoperta delle segrete sostanze di vita.
Il sangue che, caldo, scivolava tra le loro gambe era per loro un
dono prezioso che richiedeva attenzioni premurose, periodi di tacita
contemplazione ed introspezione: non mentale e governata dalla ragione,
ma istintiva e legata alle naturali percezioni del corpo.
Attraverso il Ciclo, esse accedevano misteriosamente a stati di
coscienza diversi da quelli consueti, grazie ai quali profetizzavano,
si accostavano all’inconoscibile, ricevevano sogni e visioni
sottili che, spesso, le portavano a prendere decisioni importanti
per tutta la tribù, nonché a guidarla con equilibrio
e saggezza. Si potrebbe pensare che proprio in questi momenti sacri
e grazie a queste visioni, le Donne percepivano e raccoglievano
immagini simboliche che poi trasformavano in storie e fiabe, in
nuovi canti, in nuovi miti e riti sacri: comprendevano nuovi frammenti
del sapere divino e nuovi modi per trasmetterlo alle proprie sorelle.
Il sangue, infatti, era ritenuto foriero di Conoscenza e i sogni
che avevano a che vedere con il suo scorrere erano fonte stessa
di sapienza ancestrale.
Esso era inoltre visto come la primigenia sostanza da cui aveva
origine ogni più semplice forma di vita, poiché vi
risiedeva la misteriosa magia di Creazione, la primitiva argilla
che formava e plasmava il bimbo nella pancia della mamma e che gli
donava la preziosa Anima imperitura.
Come un purpureo fiore dall’acre profumo, il flusso sacro
poteva, infatti, trasformarsi in frutto, ma poteva anche sfiorire
semplicemente, perdendo i suoi delicati petali come liquide gocce
vermiglie.
L’interna fioritura e deperimento del ciclo femminile, che
rendeva le donne ricettacolo di fertilità e sterilità,
di vita e morte regolarmente alternate, rispecchiava il succedersi
costante dei tempi della Natura, delle stagioni e, soprattutto,
delle età della Luna.
Dolce sorgente femminile d’acqua e di sangue, la Regina del
Cielo è, sin dall’inizio del tempo, la Guardiana del
sacro ritmo terrestre che genera il mutamento perpetuo; governa
e scandisce, in un divino connubio di luce ed ombra, il profondo
contrarsi del sotterraneo utero primitivo, insegnando a seminare
e a raccogliere, a tagliare e lasciar crescere, a creare, in un
divampare ardente di vita, e a covare l’ispirazione nel tiepido
ventre oscuro.

Da questo ritmo divino, dall’oscurarsi e schiarirsi della
Luna, dal loro sangue mestruale, le antiche Donne apprendevano la
natura del Ciclo perpetuo, del Tempo e della Misura. In armonia
con essi, danzavano splendidamente e le loro movenze riflettevano
l’armonia delle acque nascoste, delle maree e, più
di tutto, della loro amata Luna, che da sempre vegliava su di loro
e splendeva nei loro occhi. Luna che è Donna, così
come la Donna è un suo sublime raggio d’avorio, disceso
e fiorito sulla Terra.
Vivendo e conoscendo la Grande Madre come generatrice del divenire
e conservatrice del suo stesso nucleo di luce perenne, esse comprendevano
la loro similitudine con Lei e capivano che tutto ciò che
avevano bisogno di conoscere era già presente in loro stesse
sin dalla nascita. Così si osservavano e si scoprivano lentamente,
sostavano in silenzio sul limitare dei ruscelli, sotto l’ombra
degli alberi ricoperti di muschio, accanto al fuoco delle loro abitazioni…
si osservavano, si ascoltavano… e Sapevano.
I loro antichi e splendidi riti riposano in un tempo passato. Forse
qualche anziana dallo spirito antico, che nonostante il lento degenerarsi
dell’umanità esiste ancora, ne conserva il ricordo
e lo preserva segretamente, ma di fatto poco di conosciuto è
rimasto qui, per noi che cerchiamo.
Eppure quel poco che è sopravvissuto, proveniente soprattutto
dalle tradizioni dei Nativi Americani, è tuttora ricco di
magia ed amore tanto grandi da far salire agli occhi qualche lacrima
solitaria, memore di una qualche strana nostalgia che qualcuno prova
ancora in fondo al proprio cuore.
I RITI DEI KUNA
Uno dei riti che abbiamo la fortuna di conoscere, probabilmente
di origine molto antica, è quello che la tribù dei
Kuna, dell’istmo di Panama, celebra per le fanciulle che versano
il loro sangue per la prima volta.
Come in moltissime altre culture il rito è compiuto ed assistito
dalle anziane, ovvero da coloro che hanno vissuto tutte le fasi
della vita femminile e che pertanto possiedono la più alta
saggezza.
Queste fanno sdraiare sul suolo nudo la giovane donna e, sedendo
in cerchio intorno a lei e fumando, le lanciano addosso della terra
per ricoprire il suo corpo. Mentre fumano le Donne intonano i canti
sacri ed invocano la Dea Mu, protettrice dei Kuna e generatrice
del Sole, della Luna, delle Stelle, degli animali e di tutta la
lussureggiante vegetazione.
Dopo essere stata “sotterrata”, la ragazza si scuote
via dal corpo il terriccio e le anziane le cospargono il viso col
succo purpureo di una pianta chiamata Saptur. Questa pianta cresce
in una caverna poco distante dal luogo del rito; una caverna in
cui sono seppelliti i morti della tribù. La sua linfa rossa
si crede che sia il sangue mestruale di Mu.
Dipinta di rosso, la giovane è quindi pronta per entrare
nella sacra capanna di Inna, dove viene celebrato il rito d’iniziazione,
e qui le vengono tagliati i lunghissimi capelli.
Come cadono a terra i capelli, ciocca dopo ciocca, così la
fanciulla lascia cadere la propria infanzia, della quale si è
definitivamente spogliata. Ella la dona a Inna e accede ad una nuova
fase della sua vita, divenendo donna.
In questo bellissimo rituale sono presenti molti temi simbolici
che richiamano la morte e il passaggio a nuova vita. L’albero
dal succo di porpora cresce in mezzo ai morti, eppure rappresenta
il sangue di Mu, il sangue della vita, della fertilità, della
bimba che da vergine diventa donna in grado di procreare; l’essere
ricoperte di terra evoca la sepoltura che si dà ai defunti
e segna la fine, il sotterramento di un vecchio modo di essere da
cui la fanciulla si purifica, poiché il passaggio deve essere
accettato, così come ciò che ne consegue. Anche il
taglio di capelli rappresenta la morte di una parte dell’essere
e l’accesso ad una nuova condizione interiore ed esteriore.
L’usanza di tagliare i capelli in occasione dei riti di passaggio
era piuttosto comune in molte parti del mondo e indicava la transizione
da uno stato all’altro, il mutamento e la trasformazione che
portavano la persona ad abbandonare la sua vecchia
identità. Completamente rasato, inoltre, il capo assomigliava
sia ad un teschio che alla testa di un neonato e questa immagine
rafforzava ancora di più la connessione con la morte e la
rinascita, incoraggiandole entrambe.
Attraverso il menarca la fanciulla viveva un vero e proprio viaggio
nell’oltretomba, per uscirne rinnovata e per rendersi sacra
agli occhi delle sue sorelle e della divina Mu.
In alcune tribù di nativi americani la donna che sta vivendo
i suoi giorni di sangue possiede un grande potere poiché
è direttamente connessa con l’energia primordiale della
Grande Madre.
Gli stessi nomi con cui, in tutto il mondo, veniva - e forse viene
tuttora - definito il flusso femminile richiamavano sempre qualcosa
di magico, misterioso e molto potente.
La parola che noi conosciamo, ovvero “mestruo”, deriva
sia da “mese”, sia da “misura” e da “luna”
(dal latino men e dal greco mens, menos), ma la
sua radice “me” o “ma” richiama forse il
“mana”, l’energia immanente che per i melanesiani
permeava ogni cosa esistente sulla Terra. Il ciclo mestruale era
quindi una vera e propria emanazione di energia pura ed elementare
che le donne condividevano consapevolmente, isolandosi nelle capanne
sacre per poi uscirne rinnovate e colme di nuova saggezza.
In molti popoli il sangue femminile era intimamente connesso al
serpente e ai suoi simboli di
ciclica rigenerazione. Il serpente, più di ogni altro animale
per via del suo cambio di pelle, rappresenta le varie morti e rinascite
che fanno parte della vita dell’individuo, ovvero i diversi
momenti di passaggio da una fase all’altra dell’esistenza.
Intensamente connesso alla Luna ed alle acque, alla terra e alla
fertilità, il serpente è quindi emblematicamente inseparabile
dalla Donna e dal suo sacro flusso, poiché la loro energia
rigeneratrice è considerata simile.
IL KINAALDA DEI NAVAJO
Tra gli Indiani Chiriguanos, quando la giovane donna versa il suo
primo sangue, le donne della tribù inscenano un rito in cui
tentano di cacciare via il serpente che l’ha morsa, ferendola;
in altre tribù, invece, le fanciulle danzano gioiosamente
intorno all’immagine di un serpente, forse sotto ai raggi
della luna che carezzano il loro bel corpo.
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Un altro dei riti
di passaggio che sono giunti sino a noi, legato al primo sangue
delle fanciulle, proviene dalla tradizione dei Navajo ed è
conosciuto con il nome di Kinaalda (“rito di
pubertà”).
Secondo le leggende questo bellissimo rito fu insegnato alle
donne da Estsanatlehi (“Madre di tutti”), la Donna
che Muta, o Donna che si Rinnova, chiamata con molti nomi
diversi tra cui Donna Conchiglia Bianca e Donna Dipinta di
Bianco. Ella è la personificazione divina della Terra,
con il suo Equilibrio immutabile ed i suoi Cicli perenni.
Rappresenta l’eterno mutamento, l’interminabile
girare della Ruota del Tempo, ma anche l’assenza del
Tempo stesso che esiste oltre le concezioni ed i limiti umani;
traccia il sentiero delle stagioni, che mutano quando Lei
muta il suo abito, veglia sui cicli della Luna e delle Donne,
su quelli del sangue e sui passaggi della vita femminile,
specialmente su quello determinato dalla comparsa del mestruo
che rende la fanciulla feconda.
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Splendidamente vestita di
candide conchiglie e di preziosi turchesi, è la segreta amante
del Sole, con il quale fa dolcemente l’amore nei boschi verdi
e sulle spiagge bagnate dalle onde, forse insegnando alle donne
a fare lo stesso…
La sua pelle non raggrinzisce mai perché ogni qual volta
Ella raggiunge una certa età si incammina verso Est, dove
incontra la Se Stessa fanciulla e, abbracciandola, ne riassume le
sembianze. Per questo si dice che fu Lei ad istruire le Donne sui
segreti dell’Eterna Giovinezza, mostrando loro come mantenere
viva ed ardente la Bimba interiore nonostante l’incedere degli
anni ed il peso del corpo. Allo stesso modo, fu Lei a trasmettere
loro tutta la Conoscenza tradizionale, così come gli antichi
riti, i canti sacri, le parole magiche e i profondi misteri femminili.
Fu Lei disegnare la Via della Bellezza e a donare l’istinto
della Ricerca.
Le genti che la amano le parlano con affetto, le offrono doni e
la nutrono; la venerano con i canti e con la narrazione, ma soprattutto
con ciò che le è più caro, il Kinaalda.
In questo rito, che dura quattro giorni, la fanciulla divenuta donna
si trasforma nella Donna che si Rinnova ed accoglie il Suo potere
sacro dentro di sé, spargendo benedizioni al popolo che la
festeggia con gioia e devozione.
Le anziane della tribù la vestono con conchiglie bianche,
simbolo della bellezza languida e voluttuosa delle acque e della
femminilità, poi, facendola sdraiare con la pancia a contatto
con la terra, la massaggiano con mani sapienti. Si crede, infatti,
che nei momenti di passaggio e di iniziazione ad una nuova condizione
di vita, il corpo ritorni morbido come al momento della nascita
e che possa quindi essere “impastato” e “modellato”
come fosse fatto d’argilla o di soffice pasta di pane. Così,
lo si aiuta ad assumere una nuova forma, quella della donna fertile,
in armonia con la trasformazione avvenuta interiormente.
Durante il primo e l’ultimo giorno del rito, la ragazza cammina
in senso orario intorno ad un cesto pieno di cereali, pigmenti di
pittura, polline e piume, considerati sacri elementi del rituale;
il quarto giorno viene invece preparato un grande dolce. La fanciulla,
insieme ad altre donne, pesta e polverizza il granoturco, facendolo
diventare farina, e questa viene benedetta con il sacro polline
e poi sparsa circolarmente in direzione del Sole. Quindi vengono
presumibilmente uniti altri ingredienti a formare un impasto che
viene poi avvolto nei cartocci del granoturco ed interrato. Sopra
alla terra umida che ricopre il composto viene acceso un fuoco che
per tutta la notte verrà alimentato per cuocere completamente
il dolce.
Nel frattempo tutti si riuniscono nella capanna della fanciulla
ed ella si siede in direzione dell’alba, per accogliere i
primi raggi solari e rappresentare il congiungimento amoroso tra
la Donna ed il Sole. Tutta la notte viene trascorsa ad intonare
i sacri canti che invocano la Donna che si Rinnova, mentre Ella
viaggia sulle parole e sulle musiche vibrate nell’aria sino
a quando, nel tredicesimo canto, emerge nella fanciulla e la colma
della sua essenza.
Ora la giovane Donna, completamente identificata nella Dea, canta
riferendosi a Lei in prima persona, parla con la sua voce ed è
piena della sua consapevolezza.
Alcuni dei versi cantati sono questi:
“Con il mio potere sacro sto viaggiando
Dietro la mia casa vengono poste offerte votive di conchiglie
bianche stupendamente decorate…
con la bellezza davanti a me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la bellezza dietro di me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la bellezza sotto di me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la bellezza sopra di me sto viaggiando
con il mio sacro potere sto viaggiando
con la lunga vita, ora con la bellezza sempiterna, io vivo.
Sto viaggiando
Con il mio sacro potere, sto viaggiando…
Sono qui; sono la Donna Conchiglia Bianca, sono qui…
Sulla distesa di conchiglie bianche, sono qui…”
La sensazione della presenza della Dea viene avvertita da tutti
i presenti e la fanciulla ne percepisce l’Amore universale,
la Bellezza immortale che permea ogni cosa presente sulla Terra.
Ella è la Donna che si Rinnova, è la Madre che ha
generato tutto, è l’amante del Sole. La fulminea Saggezza
la riempie ed ella è il Tutto, è la madre di sua madre,
la nonna di sua nonna, l’infante e l’anziana. Tutte
le fasi della sua vita passata e futura sono presenti in lei e dell’immensa
coscienza di quest’unico istante ella preserverà il
ricordo per sempre.
Al termine dei canti e della cerimonia viene dissotterrato il Dolce
della Luna e la fanciulla, sempre rivolta verso il Sole, lo taglia
a fette, conservandone la parte centrale. Tutti se ne nutrono, tranne
lei, che si limita a distribuirlo alle sue genti. In quel momento,
infatti, ella incarna Estsanatlehi che dona ai Suoi figli il Nutrimento.
La torta è simbolo del matrimonio tra la terra ed il sole/fuoco,
tra il femminile ed il maschile; contiene gli ingredienti che la
Madre offre alla Sua progenie ed è una grande benedizione
per tutti, poiché la sua consumazione apporta fortuna, prosperità,
pace e benessere, al singolo come all’intera tribù.
Si potrebbe pensare che, anticamente, uno degli ingredienti segreti
del Dolce della Luna fosse qualche goccia di sangue versato dalla
giovane donna e che fosse proprio tale ingrediente ciò che,
più di tutto, portava benedizione e felicità.
Quando tutti hanno consumato la torta, la fanciulla viene dipinta
con argilla bianca, che ella usa per segnare la pelle di chi desidera
ricevere i suoi divini poteri; poi, viene nuovamente massaggiata
dalle anziane, che le danno anche dei consigli sulla sua nuova condizione.
Il rituale termina con l’interramento della parte centrale
della torta, come offerta e ringraziamento alla Madre Terra, al
granoturco e agli altri preziosi alimenti che nutrono e rendono
possibile la vita.
Anche dopo il termine del rito, la fanciulla rimane la Donna che
si Rinnova, poiché per i Navajo ogni donna che ha vissuto
il Kinaalda è la Donna che si Rinnova. Il potere
e la presenza della Dea non la abbandona mai ed essa è considerata
sacra, rispettata ed onorata come si onora il Divino.
Tra gli Indiani Apache esiste un rito simile al Kinaalda,
sebbene vi siano varie differenze che li distinguono. La fanciulla
incarna Estsanatlehi, la Donna che si Rinnova, per tutti e quattro
i giorni, ma è interessante notare il mezzo tramite il quale
la splendida Dea entra in lei, ovvero la Danza.
Il primo giorno, infatti, la giovane danza da sola, liberamente,
in piedi sulla pelle di cervo che è il luogo centrale del
rito sacro. Con il bastone ornato di oggetti magici ed amuleti,
ella batte la terra al ritmo del caldi e profondi colpi dei tamburi,
e mentre danza “viaggia” verso un’altra consapevolezza,
più alta, più pura. Danzando, la fanciulla e la Donna
che si Rinnova si incontrano e si riconoscono come una cosa sola.
La fanciulla si lascia pervadere da Lei e dalla loro Unione scaturisce
divina benedizione per tutti i popoli.
LA PROFETESSA DI DELFI
Lasciando per un momento le tradizioni dei Nativi Americani e consultando
altre fonti, leggiamo che il sangue mestruale, preziosa essenza
naturalmente gradita alla Dea Madre, costituì il primo sacrificio
offerto sul Suo altare, sgorgato dal grembo della Sacerdotessa senza
dolore e senza l’immolazione di alcun essere vivente.
Per il suo grande potere, che apriva certe segrete porte di percezione,
si dice che la profetessa dell’oracolo di Delfi, in Grecia,
pronunciasse i suoi responsi proprio durante i giorni in cui esso
fluiva dal suo ventre.
In molte culture lo si riteneva una panacea tanto potente da essere
in grado di guarire qualsiasi male, anche quelli più gravi,
ed il suo potere avrebbe raggiunto l’apice se a spargerlo
fosse stata una giovane fanciulla che lo conosceva per la prima
volta.
Si credeva che questo sangue, versato durante un’eclissi di
Luna (la magica “rugiada di Luna”), fosse il più
potente e mortifero veleno usato dalle maghe della Tessaglia; ma
potrebbe anche darsi che questa concezione fosse già stata
contraffatta dai degeneranti ideali patriarcali, poiché una
simile sostanza era forse ben più simile ad una benedizione
apportatrice di Fortuna e Felicità, piuttosto che ad un motivo
di lacerante dolore e morte.
Con l’avvento del patriarcato, generato dal lento appassire
degli antichi ideali armonici, il sangue femminile assunse, infatti,
connotazioni profondamente negative e venne chiamato in mille modi
terribili.
Le donne che prima erano portatrici di Saggezza, riconosciute dagli
uomini stessi che le onoravano e le amavano, divennero creature
infette da allontanare e maledire, specialmente nel loro “tempo
sacro”.
Molto fu detto e molto si dice ancora, ma preferiamo evitare di
approfondire questo tema perché rovinerebbe la bellezza sinora
espressa. L’indigesto frutto dell’ignoranza, infatti,
non merita tempo e parole, e rischia sempre di guastare l’intero
Raccolto.
Parleremo, invece, di ciò che proprio attraverso la consapevolezza
del proprio “Sangue della Luna” le Donne particolarmente
fortunate potevano a volte raggiungere dentro loro stesse, ed a
questo proposito ci serviremo di un racconto incantevole, trasmesso
solo oralmente sino a che una preziosa autrice non decise di raccoglierne
per sempre la memoria, mettendolo per iscritto.*
LA CASA DELL'ATTESA DEI NOOTKA
Esso appartiene alla tribù indiana Nootka, nell’isola
canadese di Vancouver; tribù in cui per molto tempo le donne
si isolavano durante il loro “tempo della luna” e trascorrevano
alcuni giorni in una capanna chiamata Casa dell’Attesa.
Qui sedevano su speciali sedili di muschio e vi lasciavano scorrere
il proprio sangue, che in questo modo tornava alla Grande Madre.
Quasi tutte le donne avevano insieme il loro tempo della luna e
durante quei piacevolissimi giorni esse parlavano e scherzavano
e ridevano e condividevano dolcemente quel particolare momento.
Se i dolori diventavano molto forti bevevano un tè speciale
che li placava e le sorelle aiutavano ad alleviarli ulteriormente
massaggiando con amore la schiena. Nessun uomo poteva avvicinarsi
alla Casa dell’Attesa, poiché si trattava di un luogo
sacro esclusivamente femminile ed essi non avrebbero potuto comprendere
ciò che vi succedeva.
Racconta la leggenda che, molto tempo dopo la scomparsa della Donna
Antica, Colei che aveva insegnato tutti i Segreti ed i Misteri alle
Donne, le genti cominciarono perdere i suoi insegnamenti e a dimenticarLa.
Gli uomini iniziarono a pretendere di comandare e di dare ordini
alle loro compagne e queste lasciarono che il germe dell’accondiscendenza
crescesse dentro di loro, sconvolgendo quell’equilibrio primario
che per secoli aveva generato la perfetta armonia.
Allora accadde che un giorno, la giovane Tem Eyos Ki si recasse
alla Casa dell’Attesa per trascorrere il suo tempo sacro,
lasciando fluire il proprio sangue sul morbido e fresco muschio.
Qui vi trascorse più di quattro giorni insieme ad altre donne…
"Quando ritornò dalla casa dell’attesa era
una donna folgorata dall’illuminazione, una donna colpita
dalla meraviglia, una donna scossa dal potere, una donna piena d’amore.
Proveniva dalla casa dell’attesa con un’espressione
sul viso più potente della magia. Scintille luminose brillavano
tra i suoi capelli.
Sorrise e cantò un canto che parlava dell’amore che
non conosce limiti, dell’amore che non conosce legami, dell’amore
che non chiede nulla e nulla si aspetta, ma realizza tutto.
Cantò della conoscenza e del credere, del condividere e del
dare. Cantò di un luogo così meraviglioso che le menti
della gente non potevano nemmeno tentare di immaginare. Un luogo
senza collera o paura, un luogo senza solitudine od incompletezza.
Camminò attraverso il villaggio cantando il suo canto e le
donne la seguirono. Raccolsero i loro bambini, femmine e maschi
in egual modo, e seguirono Tem Eyos Ki, lasciando indietro le pentole
da cucina ed i telai, lasciando indietro i mariti ed i padri.
Tem Eyos Ki camminò oltre il villaggio, lungo le spiagge,
verso la foresta. Cantando il suo canto di amore e di meraviglia.
E le donne la seguirono.” **
Ciò che accadde a Tem Eyos Ki nella capanna dell’attesa
è protetto dal segreto e non è dato sapersi.
Eppure proprio in questa leggenda, che forse è molto più
vera di quanto si possa pensare, ritroviamo uno degli antichi frammenti
di saggezza perduti, ovvero la certezza che, in certi rari casi,
dalla consapevolezza vera e completa del ciclo di sangue e della
propria femminilità sacra, poteva scaturire l’Illuminazione
e la ricongiunzione con la Dea Madre in tutta la Sua essenza, ovvero
il meraviglioso ritrovamento di Lei nel proprio interno.
Si dice che ogni antica leggenda racchiuda in sé un insegnamento
altrettanto antico, attingibile in ogni tempo ed in ogni luogo esistente.
Forse una di queste leggende è proprio quella della lucente
Tem Eyos Ki, che è in grado di parlare ancora alle donne,
di cantare per loro, di chiamarle a seguirla, abbandonando ed oltrepassando
la banale cortina di comune quotidianità per posare lo sguardo
nell’Oltre. E forse uno dei modi per fare questo passo è
prendere consapevolezza dei propri cicli e della propria sacralità
femminile che nessun mortale o falso dio può deturpare o
cancellare.
Isolarsi in una propria sfera magica, separata dal mondo esterno,
con i suoi ritmi fittizi e le sue vitree illusioni, ricercando i
lembi del sentiero della Bellezza, potrebbe costituire il primo
passo verso la Bellezza stessa.
Armonizzarsi con i veri tempi lunari e terrestri, danzare e cantare
i loro ritmi, amare il proprio flusso di sangue ed il proprio splendido
corpo, potrebbe ricreare l’antica sintonia istintiva con la
Natura e con la Dea Antica che irradia Amore ultraterreno.
Versare il proprio sangue sulla terra muschiata forse farebbe sorgere
la percezione di un cerchio che si chiude, di un’offerta che
ritorna alla propria stessa origine.
Osservare, scoprire ed ascoltare sono forse gli insegnamenti più
veri che la Donna che si Rinnova potrebbe donare, ricordando che
tutto ciò che c’è bisogno di conoscere è
già presente nella meravigliosa Donna, sin dalla sua nascita.
NOTE
* Anne Cameron in Le Figlie della Donna
di Rame
** Cfr. Anne Cameron, Le Figlie della Donna di Rame, Edizioni della
Terra di Mezzo, Milano, 2000, pp. 56-57
Articolo
scritto da Violet
Un ringraziamento speciale, come sempre,
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e pubblicato in www.ilcalderonemagico.it
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IL
TEMPIO DELLA NINFA
Il Tempio della Ninfa è un sito che
studia l’antico paganesimo ed è incentrato sul
Percorso profondo, quello dell’Anima. Si fonda sulla
Magia della Natura libera, sulla Ricerca della Comunione con
essa, con la Grande Madre che non predilige una Tradizione
piuttosto che un’altra, perché sta ben al di
là di esse.
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Fonti
Le Figlie della Donna di Rame,
Anne Cameron. Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000
Prima di Eva. Viaggio alle origini dell’Eros. E un dialogo
sull’enigma della bellezza con Lella Ravasi Belloccio, Luisella
Veroli. Associazione Culturale Melusine, Edizioni La vita felice,
Milano, 2000
Baubo, la vulve mythique, G. Devereux. Ed j. C. Godefroy, Paris,
1983
Oscure Madri Splendenti, Luciana Percovich. Edizioni Venexia, 2007
La Dea, Shahrukh Husain, EDT, Torino, 1999
Il risveglio della Dea, Vicki Noble. Tea, Milano, 1998
Il corpo della Dea, Selene Ballerini. Atanòr, Roma, 2003
Il linguaggio segreto della Danza del Ventre, Maria Strova. Macroedizioni,
2005
L’iniziazione femminile nella mitologia greca, Ken Dowden.
ECIG, Genova, 2003
Le Vergini arcaiche, Leda Bearné. Edizioni della Terra di
Mezzo, Milano, 2006
Le donne, la vulva e le loro magie, Selene Ballerini, in La magia
della sessualità, a cura di Mariano Bianca. Atanòr,
Roma, 2000
Figure di donna nei miti e nelle leggende, Patricia Monaghan. Edizioni
Red, Milano, 2004
L’Isola Incantata delle Figlie della Luna
Il ciclo mestruale: sangue e magia, di Sunita
http://www.orgsites.com/fl/daughters/_pgg3.php3
http://shaylae.com/kinaalda.htm
http://www.firstpeople.us/FP-Html-Legends/Changing_Woman-Navajo.html
IMMAGINI
Cycle Woman e White Shell di
Susan Seddon-Boulet
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nella ricerca delle fonti e per l'irremovibile sostegno.
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di © Violet.
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