DIONISO |
NASCITA DI DIONISO
Come per molti altri
dei, la maggior parte dei racconti relativi a Dioniso riguarda la nascita
e l'infanzia del dio. La versione più nota del mito presenta
la nascita di Dioniso da Zeus e da Semele, figlia del re di Tebe, Cadmo.
Poiché Zeus aveva promesso alla amata Semele di esaudire ogni
suo desiderio, la sposa di Zeus, Era, gelosa di Semele, la indusse perfidamente
a chiedere al suo divino amante di mostrarsi a lei in tutto il suo splendore.
Per accontentarla Zeus comparve circondato di lampi e folgori, che inceneriscono
Semele e il suo palazzo a Tebe. Zeus salvò però il feto
di Dioniso, frutto del suo amore con Semele e, per evitare le insidie
della gelosa Era, lo cucì nella sua coscia fino al giorno stabilito
per la nascita.
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Non è da escludere che le componenti di questo mito siano parte di un nucleo pre-dionisiaco in riferimento alla divinità da cui il Dioniso ellenizzato è derivato. La stessa coppia Semele-Dioniso, se si accetta l'ipotesi che in origine fosse quella formata da una dea-madre e da un dio-figlio, potrebbe essere il risultato di una associazione realizzatasi in tutto un insieme di antichi culti pre-ellenici o anatolici. Il nome di Semele appartiene infatti a una lingua non greca e si riferisce a una dea-terra madre di un figlio divino. Anche in epoca tarda Dioniso sarà spesso designato con l'appellativo di concepito nel fuoco o di nato nel fuoco, con riferimento alla folgore di Zeus: la prima parte del suo nome sembra infatti rinviare a una filiazione da parte del dio celeste indoeuropeo.
Tali informazioni
andrebbero dunque a costituire un mito naturalistico elementare assai
plausibile. Questa componente naturalistica è però assente
dalla figura della madre Semele che, al pari di altre donne mortali,
è amata da Zeus. La sua folgorazione accentua la natura divina
di Dioniso: Zeus gli fa infatti da seconda madre e il figlio di Semele
giunge a compimento nella coscia del padre di cui sarà una promanazione
diretta. Il carattere eccezionale della filiazione sembra tuttavia soprattutto
rispondere alla preoccupazione di elevare il nuovo dio nella discendenza
da Zeus, preoccupazione forse dovuta all'antagonismo tra culti di giovani
dei alla ricerca di una legittimazione. Il racconto è inoltre
da riferirsi al periodo dell'introduzione di una concezione patriarcale
nel mondo greco per cui gli dei nati da dee-madri di stampo asiatico
vengono elevati sull'Olimpo in nome di una parentela più o meno
diretta con il grande dio degli Elleni. |
La nascita di Dioniso da una donna mortale rende
certamente più suggestiva la sua figura in quanto lo presenta come
un immortale che pur restando tale partecipa dell'umanità. Egli frequenta
continuamente i mortali ai quali infonde il sentimento della sua presenza
reale e non si abbassa sino a loro, ma piuttosto li innalza sino a sé;
tutto il racconto costituisce inoltre un motivo atto a suscitare emozioni
nelle donne che vedevano il figlio di una di loro elevato al grado di divinità.
Bacco
Se il nome di Dioniso
è poco familiare oggi, molto popolare è invece quello
di Bacco. Negli autori greci questo termine è soltanto un epiteto
del dio, estraneo tuttavia alla visione moderna e tardoantica di Dioniso
come dio del vino. L'appellativo è comune al dio e ai suoi fedeli, i baccanti, che non l'hanno però assunto considerandosi una momentanea incarnazione del dio, bensì è Dioniso stesso che lo ha tratto dai suoi seguaci. Egli è insomma il baccante per eccellenza e del resto il termine bacchos è inscindibile dal verbo baccheuein che designa un comportamento particolare, una sorta di trance religiosa, anche in riferimento a culti estranei al dionisismo. |
Il mito dionisiacO
Dopo la nascita dalla
coscia di Zeus, Dioniso viene allevato dalla zia materna Ino e dalle
ninfe della valle di Nisa. Divenuto adulto, egli percorre il mondo insegnando
agli uomini la viticultura e istituendo ovunque il suo culto, che viene
spesso avversato con l'accusa di seminare disordine e immoralità.
Nella stessa Tebe, sua patria, Dioniso è perseguitato dal re
Penteo, che ne vieta il culto, praticato soprattutto in orge notturne
nelle quali i seguaci e soprattutto le donne, dette Menadi (cioè
"folli"), svolgono cerimonie sui monti, agitando fiaccole
e tirsi in preda a una eccitazione collettiva nel corso della quale
cercano la comunione con il dio a contatto con la natura e divorando
carni crude di cerbiatti dilaniati. Ma la forza del dio è irresistibile
e il suo avversario Penteo viene ucciso dalla madre stessa. |
Le forme del culto lo presentano come un dio mediterraneo della natura
e della vegetazione, dio della vita e della morte, che impone il suo
culto con una potenza terribile, nella quale trovano sublimazione gli
impulsi segreti della psiche umana, che chiedono una forma periodica
di liberazione perché l'uomo possa attingere la felicità
nella comunione mistica con il dio della natura.
Interamente tratto da http://www.liceovoltacomo.it/ipertesti/dioniso/storia.htm
UN DIONISO FUORI DAL
CORO
DIONISO SHIVA
di Luciano
Ghersi
A parte l'eccezione
di Nietzsche, non si scrive volentieri di Diòniso: per lo piu
é considerato un ubriacone, eppure è dio anche lui. Non
abita in Olimpo, per quanto il mito poi lo recuperi facendolo nascere
della coscia di Zeus, il capofamiglia degli dei nell'Olimpo. La mitologia greca (e ancor più la tragedia, che si rivolge in teatro a tutto il popolo) ha il pregio di esternare i conflitti culturali invece di occultarli. Intanto, ci racconta che Athena è nata dalla testadi Zeus, mentre che Diòniso è nato dalla coscia. Questo è già un primo un primo passo o pensiero: la differenza fra quei due tessuti sta già tutta qui: dalla testa ci viene il pensiero, dalla coscia viene il passo, di danza o cammino... che può arrivare al nomade di Chatwin, alla impronta del piede di Buddha, al ritmo del piede poetico eccetera. Il mito non può essere univoco e perciò racconta pure che questo stesso Diòniso, oltre che nato dalla coscia di Zeus, arrivò nella Grecia dall'India, sopra un carro trainato da tigri (animali indianissimi) e con un seguito di gente invasata: gente fuori di sé che suonava, ballava e faceva di peggio. |
Allora, come è
andata la Storia? Per farla breve, certi popoli Iranici (più
noti come Ariani), grazie ai loro carri da guerra e alle loro frecce
di ferro, invasero l'India, dove, piuttosto che ballare, suonare eccetera,
importarono una seria società patriarcale assieme ai suoi culti
e ai suoi miti. Poi si rivolsero ad Occidente e così importarono
in Grecia lo stesso sistema, insieme coi suoi dei patriarcali. Gli misero
su casa in Monte Olimpo: la residenza classica, da allora, di Zeus e
famiglia. Quegli Ariani portarono in Grecia la civiltà? Certamente,
ci portarono una certa civiltà ma (anche loro) non ci avevano
scoperti: ci avevano soltanto conquistati... Infatti, all'epoca di queste
migrazioni, sia la Grecia che l'India, non erano affatto disabitate
ma già bene abitate e civilizzate da altri popoli. Questi popoli
non erano Ariani ma Dravidici (qui non è tanto questione di razza
quanto di cultura). Sono famosi in India i resti delle loro città
in Harappa e Mohenjo Daro, nel Mediterraneo quelli di Creta. |
Gli invasori riscrivono
sempre la storia, allora gli Ariani riscrissero il mito. Il dio toro
di Creta diventò un mostro: il bestiale Minotauro, che viene
sconfitto da Téseo, un eroe che arriva da Atene, il nuovo centro
degli Ariani in Europa. Téseo viene aiutato da Arianna (o Ariadne) che non è per nulla Ariana: infatti è sorella del toro
Dravidico. Ariadne, che ha fatto il filo all'eroe, poi parte con lui.
Téseo però l'abbandona su un'isola, perché non
è donna presentabile in patria. Lì su quell'isola, chi
viene a salvarla? Proprio Diòniso (Dravidico anche lui), appena
arrivato dall'India, dove però lo chiamavano Shiva...e dove lo
chiamano ancora così ai nostri giorni. Gli Indiani, si sa, sono
molto attaccati alle Tradizioni che però, se vitali, vengono
sempre rimaneggiate. Così Shiva-Diòniso fu anche lì imparentato alla meglio con Brahma (modello originale di Zeus), dopo la famosa invasione degli Ariani. Nonostante la nobilitazione però, questo Shiva è sempre rimasto un dio un po' coatto: siede ancora su una pelle di tigre e ha in testa la luna. Perciò è adorato da eremiti lunatici... e persino drogati ma solo di Cannabis (Indica). Non è ossessionato dal risparmio del seme, che invece raccomanda l'etica di Brahma: lui feconda tutta la natura. Anche se è viene chiamato "Distruttore" da brahmani e manuali di mitologia, Shiva sarebbe piuttosto "Procreatore" della Natura increata de eterna. Insomma: è un eterno cazzone, venerato (anche in Creta) nel suo ovvio aspetto di toro. Non è un dio per guerrieri e per nobili, che hanno mente la purezza del sangue e loro questioni di eredità. |
Diòniso-Shiva
è un dio da contadini, gente che ha in mente la fertilità
di terra e bestiame. Gente ignorante, senza scribi o sacerdoti, mantenuti
per scrivere o memorizzare testi canonici. Tutt'al più qualche
artigiano, che gli può scalpellare nella pietra figure di toro
o di asino (parimenti cazzuto), tralci di edera, grappoli d'uva, altra
natura lussureggiante. Poi verranno gli storici dell'arte a scambiarli
per presepi o altri simboli cristiani... ma pure in Occidente Shiva-Diòniso,
in vari aspetti, fu sempre venerato dal popolo, persino nelle chiese,
sotto la crosta del cattolicesimo. Resta viva qualche traccia in qualche
carnevale. Per tornare al telaio per tessere (perché si era partiti proprio da lì), Shiva è soprattutto il Re della Danza (Nata Raja): la sua erotica danza costituisce l'universo. Perciò non si manifesta ai devoti con il Verbo, cioè con oracoli o sacre scritture ma li possiede inducendoli a ballare. Diòniso fa esattamente lo stesso. |
Testo di Luciano Ghersi
TRATTO DA
http://www.hypertextile.net/TESSIMILIA/cultura/rigotti.htm
Epifanie ed occultamenti
di un dio "nato due volte"
Dopo più di un secolo di ricerche, Dioniso resta ancora un enigma.
Per l'origine, la sua natura, e il tipo di esperienza religiosa cui dà
l'avvio, si distingue dagli altri grandi dèi greci. Secondo il mito,
è figlio di Zeus e di una principessa, Semele, figlia di Cadmo, re
di tebe. Mossa dalla gelosia, Era le tende un tranello e Semele chiede a Zeus
di poterlo contemplare nella sua vera forma di dio celeste. L'incauta viene
incenerita, avendo partorito prima del tempo. Ma Zeus cuce il bambino nella
sua coscia, e dopo qualche mese Dioniso viene al mondo. È proprio 'nato
due volte'. Molti miti delle origini fanno derivare i fondatori di famiglie
reali dall'unione tra dèi e donne mortali. Ma Dioniso è nato
la seconda volta da Zeus, perciò lui è solo dio [1]. |
P. Kretschmer ha cercato di spiegare il nome di Semele con il termine traco-frigio
Semelo, che indica la dea Terra, e questa etimologia è stata accettata
da studiosi di chiara fama come Nilsson e Wilamowitz. Ma tale etimologia,
sia o non sia corretta, non aiuta affatto nella comprensione del mito. Innanzitutto
è difficile concepire uno hieros gamos tra il dio celeste
e la Terra Madre che si concluda con la combustione di quest'ultima. D'altra
parte, e questo è il punto essenziale, le più antiche tradizioni
mitologiche insistono sul fatto che Semele, mortale [2], abbia generato un
dio. Era proprio questa dualità paradossale di Dioniso a interessare
i greci, perché essa sola poteva spiegare il paradosso della sua natura. Nato da una mortale, Dioniso non apparteneva di diritto al pantheon degli dèi olimpici; ma riuscì, nonostante questo, a farvisi accettare e alla fine ad introdurvi anche sua madre Semele. Omero lo conosceva, come dimostrano molti accenni nelle sue opere, ma né il rapsodo né il suo pubblico s'interessavano a questo dio ‘straniero', così diverso dagli Olimpî. |
È stato tuttavia proprio Omero a trasmetteci
la testimonianza più antica su Dioniso. Nell'Iliade (VI, 128-140) si
riporta un celebre episodio: l'eroe tracio Licurgo insegue le nutrici di Dioniso, «e tutte insieme gettarono a terra gli strumenti del loro culto»,
mentre il dio «assalito da spavento, balzò nei flutti del
mare e Teti lo ricevette nel suo seno tremante: un brivido terribile l'aveva
colto alle urla del guerriero». Ma Licurgo «si attirò
la collera degli dèi»: Zeus «lo rese cieco»,
ed egli non visse più a lungo «perché si era inimicato
tutti gli dèi immortali». Possiamo scorgere in questo episodio, in cui si parla di un inseguimento da parte di un ‘uomo lupo' e di un tuffo nel mare, il ricordo di un antico sfondo iniziatico [3]. Tuttavia all'epoca in cui Omero lo cita, il senso e lo scopo del mito sono diversi. Esso ci rivela uno dei tratti specifici del destino di Dioniso, la sua ‘persecuzione' da parte di personaggi antagonisti. Ma il mito testimonia anche che Dioniso è riconosciuto come membro della famiglia divina, perché non solo Zeus, suo padre, ma anche tutti gli altri dèi si sentirono lesi dal gesto di Licurgo. La ‘persecuzione' esprime in modo drammatico la resistenza contro la natura e il messaggio religioso del dio. Perseo si rivolse con il suo esercito contro Dioniso e contro le ‘donne del mare' che l'accompagnavano; secondo un'altra tradizione, egli gettò il dio in fondo al lago di Lerna (Plutarco, De Iside, 35); e lo stesso tema della persecuzione si ritrova nelle Baccanti di Euripide. Si è tentato di interpretare tali episodi come ricordi mitizzati dall'opposizione incontrata dal culto dionisiaco. La teoria che ne sta alla base presuppone che Dioniso sia arrivato molto tardi in Grecia e che, implicitamente, sia un dio ‘straniero'. Dopo Erwin Rohde, la maggioranza degli studiosi considera Dioniso come un dio tracio introdotto in Grecia o direttamente dalla Tracia, oppure dalla Frigia. Walter Otto ha però insistito sul carattere arcaico e pan-ellenico di Dioniso, e il fatto che il suo nome -di-wo-nu-so-jo- si ritrovi in un'iscrizione micenea [4] sembra dargli ragione. D'altra parte non è meno vero che Erodoto (II, 49) considerava Dioniso come un dio «introdotto tardivamente»; e nelle Baccanti (v. 219) Penteo parlava di «quel dio venuto più tardi, chiunque esso sia». |
Qualunque sia la storia della penetrazione del culto dionisiaco in Grecia,
i miti e i frammenti mitologici che alludono all'opposizione da esso incontrata
hanno un significato più profondo: ci ragguagliano allo stesso tempo
sull'esperienza religiosa dionisiaca e sulla struttura specifica del dio.
Dioniso doveva incontrare resistenza e persecuzioni, perché l'esperienza
religiosa da lui propugnata minacciava tutto uno stile d'esistenza e un universo
di valori. Si trattava certo della supremazia insidiata della religione olimpica
e delle sue istituzioni, ma l'opposizione tradiva anche un dramma più
intimo, e che è del resto ampiamente attestato nella storia delle religioni:
la resistenza contro ogni forma di esperienza religiosa assoluta, che si può
effettuare solo negando il resto (qualunque nome gli si dia: equilibrio, personalità,
coscienza, ragione, ecc.).
Walter Otto ha colto molto bene la correlazione tra il tema della ‘persecuzione'
di Dioniso e la tipologia delle sue diverse epifanie. Dioniso è un
dio che si mostra improvvisamente e che scompare poi in modo misterioso. Alle feste Agrionie di Cheronea, le donne lo cercavano invano, e ritornavano con la notizia che il dio era presso le Muse, che l'avevano nascosto (Otto, Dionysos, p. 79). Scompariva tuffandosi nel lago di Lerna o nel mare, e riappariva - come nella festa delle Antesterie - in una barca sui flutti. Le allusioni al suo ‘risveglio' in culla (ibidem, p. 82 ss) indicano il medesimo tema mitico. Queste epifanie e questi occultamenti periodici collocano Dioniso tra gli dèi della vegetazione [5]. In effetti egli mostra una certa affinità con la vita delle piante;l'edera e il pino sono quasi diventati suoi attributi, e le sue feste più popolari s'inseriscono nel calendario agricolo. Ma Dioniso è in rapporto con la totalità della vita, come mostrano le sue relazioni con l'acqua e i germi, il sangue o lo sperma, gli eccessi di vitalità che si manifestano nelle sue epifanie animali (toro, leone, capro) [6]. Le sue comparse e scomparse inattese riflettono in certo qual modo l'apparizione e l'occultamento della vita e della morte e, in ultima analisi, la loro unità. |
Non si tratta però di un'osservazione
‘obiettiva' di questo fenomeno cosmico la cui banalità non poteva
suscitare nessuna idea religiosa, né produrre alcun mito. Attraverso
le sue epifanie e le sue occultazioni, Dioniso rivela il mistero e la sacralità
dell'unione tra la vita e la morte. Rivelazione di natura religiosa, perché
si realizza grazie alla presenza stessa del dio. Infatti queste apparizioni
e scomparse non sono sempre in relazione con le stagioni: Dioniso si mostra
durante l'inverno, e scompare nella stessa festività primaverile in
cui si realizza la sua epifania più trionfale.
‘Scomparsa' e ‘occultamento' sono espressioni mitologiche della
discesa agl'Inferi, dunque della ‘morte'. In effetti a Delfi si mostrava
la tomba di Dioniso e anche ad Argo si parlava della sua morte. D'altronde,
quando nel rituale argolico Dioniso è richiamato dal fondo del mare
(Plutarco, De Iside, 35), riemerge proprio dal paese dei morti. Secondo un
inno orfico (n. LIII), quando Dioniso è assente si ritiene ch'egli
si trovi presso Persefone. Ed infine il mito di Zagreus-Dioniso - di cui ci
occuperemo tra poco - narra della morte violenta del dio; ucciso, smembrato
e divorato dai Titani.
Tali aspetti, multipli, ma complementari di Dioniso, sono ancora percepibili
nei suoi rituali pubblici, malgrado le inevitabili ‘purificazioni' e
reinterpretazioni.
L'arcaicitA' di alcune feste pubbliche
A partire da Pisistrato, si celebravano ad Atene quattro feste in onore di
Dioniso [7]. Le ‘Dionisie campestri', che si svolgevano in dicembre,
erano feste dei villaggi e consistevano nel portare in processione un fallo
di grandi dimensioni con accompagnamento di canti. Cerimonia tipicamente arcaica
e ampiamente diffusa in tutto il mondo, la falloforia ha certamente preceduto
il culto di Dioniso. Altri divertimenti rituali prevedevano gare e contese,
e soprattutto sfilate di maschere o di personaggi travestiti da animali. Anche
qui i riti hanno preceduto Dioniso, ma si può intuire come il dio del
vino sia giunto a mettersi alla testa del corteo di maschere. Molto di meno sappiamo invece sulle feste Lenee, che si svolgevano in pieno inverno. Una citazione di Eraclito precisa che la parola Lenai e il verbo ‘far le Lenai' venivano usati come equivalenti di ‘baccanti' e di ‘fare la baccante'. Il dio era evocato mediante il daduchos. Secondo una glossa di un verso di Aristofane, il sacerdote eleusino, «con una torcia in mano, esclama: Chiamate il dio! E gli astanti gridano: Figlio di Semele, Iacchos [8], dispensatore di ricchezze!». |
Le Antesterie erano celebrate approssimativamente in febbraio-marzo, e le
‘Grandi Dionisie', d'istituzione più recente, in marzo-aprile.
Tucidide (II, 15, 4) considerava le Antesterie la più antica festa
in onore di Dioniso. Era anche la più importante. Il primo giorno si
chiamava Pithoigia, apertura dei vasi d'argilla (pithoi) nei quali si conservava
il vino dopo il raccolto autunnale. Si portavano i vasi al santuario di ‘Dioniso
della palude' per compiere le libagioni al dio, e in seguito si gustava il
vino nuovo. Nel secondo giorno (Choes, le brocche) si svolgeva una gara di
bevitori: erano forniti di una brocca che veniva riempita di vino e, al segnale,
ne trangugiavano il contenuto il più velocemente possibile. Proprio
come certe gare delle ‘Dionisie campestri' (per esempio l'askoliasmos,
in cui i giovani cercavano di mantenersi il più a lungo possibile in
equilibrio su di un otre previamente oliato), anche questa competizione si
articola nello scenario ben noto delle gare e dei giochi di ogni specie (sportivi,
oratori, ecc.) che tende al rinnovamento della vita [9]. Ma l'euforia e l'ebbrezza
anticipano in un certo qual modo la vita di un aldilà che non assomiglia
più al triste mondo omerico.
Lo stesso giorno delle Choes si formava un corteo che raffigurava l'arrivo
del dio nella città. Poiché si riteneva venisse dal mare, il
corteo comprendeva una barca trasportata su quattro ruote di carro, in cui
si trovava Dioniso con un grappolo d'uva in mano e due satiri nudi che suonavano
il flauto. La processione comprendeva parecchi personaggi probabilmente mascherati,
e un toro sacrificale preceduto da un suonatore di flauto e da portatori di
ghirlande che si dirigevano verso l'unico santuario aperto quel giorno, l'antico
Limnaion. Là si svolgevano diverse cerimonie, a cui partecipavano la
Basilimna, la ‘Regina' cioè la moglie dell'Arconte-Re, e quattro
dame di alto rango. A partire da questo momento, la Basilimna, erede delle
antiche regine della città, era considerata la sposa di Dioniso. Saluva
accanto a lui nel carro e un nuovo corteo, di tipo nuziale, si dirigeva verso
il Boukoleion, l'antica residenza reale. Aristotele precisa (Cost. di Atene,
3, 5) che la ierogamia tra il dio e la regina si consumava nel Boukoleion
(lett. ‘stalla del bue') e la scelta di questo luogo indica che l'epifania
taurina di Dioniso era ancora ben nota. Si è cercato di interpretare quest'unione in senso simbolico, o supponendo che il dio venisse personificato dall'Arconte. Ma W. Otto sottolinea giustamente l'importanza della testimonianza di Aristotele [10]. La Basilinna riceve il dio nella casa del suo sposo, l'erede dei re - e Dioniso si rivela in quanto re. È probabile che questa unione simboleggi il matrimonio del dio con la città nel suo complesso, con le conseguenze faste che si possono immaginare. Ma è un atto caratteristico di Dioniso, divinità dalle epifanie brutali, che richiede la proclamazione pubblica della sua supremazia. Non si conosce nessun altro culto greco in cui si ritiene che un dio si unisca con la regina. |
I tre giorni delle Antesterie, soprattutto il secondo, quello del trionfo
di Dioniso, sono però giorni nefasti, perché segnati dal ritorno
delle anime dei morti, e insieme a loro dei keres, portatori di influenze
malefiche del mondo infero.
A loro era consacrato l'ultimo giorno delle Antesterie. Si pregava per i morti,
si preparavano le panspermie, poltiglie di diversi grani cereali che dovevano
essere consumate prima del cader della notte. E, arrivata la notte, si gridava:
«Fuori i keres/ Finite le Antesterie!». Lo sfondo rituale
è ben noto, ed è attestato un po' ovunque nelle civiltà
agricole. I morti e le potenze dell'oltretomba governano la fertilità
e le ricchezze, e ne sono i dispensatori. «Dai morti - è
scritto in un trattato ippocratico - ci vengono nutrimento, crescita e
germe». In tutte le cerimonie a lui dedicate, Dioniso si rivela
al tempo stesso il dio della fertilità e della morte. Eraclito (fr.
15) diceva già che «Ade e Dioniso [...] sono un'unica e medesima
persona».
Abbiamo già ricordato il rapporto di Dioniso con le acque, l'umidità
e la linfa vegetale. E dobbiamo anche segnalare i ‘miracoli' che accompagnano
le sue epifanie, o le annunciano: l'acqua che sgorga dalla roccia, i fiumi
che si colmano di latte e miele. A Teos, nel giorno della sua festa, una sorgente
fa sgorgare vino in abbondanza (Diodoro Siculo, III, 66, 2).
A Elide, tre scodelle vuote, lasciate durante la notte in una camera sigillata,
all'indomani vengono ritrovate piene di vino (Pausania, VI, 2, 6, 1-2). ‘Miracoli'
di questo tipo sono attestati anche altrove; il più famoso tra questi
era quello delle ‘vigne di un giorno', che fiorivano e rpoducevano uva
in poche ore, ‘miracolo' che avveniva in diversi luoghi, perché
ne parlano parecchi autori [11].
Euripide e le orge dionisiache Simili ‘miracoli' sono specifici del culto sfrenato ed estatico di Dioniso che riflette l'elemento più originale, e probabilmente più antico, del dio. Nelle Baccanti di Euripide troviamo una testimonianza inestimabile di ciò che ha potuto rappresentare l'incontro tra il genio greco e il fenomeno delle orge dionisiache. Lo stesso Dioniso è il protagonista delle Baccanti, fatto senza precedenti nell'antico teatro greco. Offeso perché il suo culto era ancora ignorato in Grecia, Dioniso arriva dall'Asia con un gruppo di Menadi e si ferma a Tebe, città natale di sua madre. |
Il Mistero era costituito dalla partecipazione delle baccanti all'epifania
totale di Dioniso. I riti vengono celebrati di notte, lontano dalla città,
sui monti e nelle foreste. Attraverso il sacrificio della vittima per squartamento (sparagmos) e la consumazione della carne cruda (omofagia) si realizza la comunione con il dio, perché gli animali fatti a brani e divorati sono epifanie, o incarnazioni, di Dioniso. Tutte le altre esperienze - la forza fisica eccezionale, l'invulnerabilità al fuoco e alle armi, i ‘prodigi' (l'acqua, il vino, il latte che scaturiscono dal suolo), la ‘dimestichezza' con i serpenti e i piccoli delle bestie feroci - sono resi possibili dall'entusiasmo, dall'identificazione con il dio. L'estasi dionisiaca significa anzitutto il superamento della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, il raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibili ai mortali. Che tra queste libertà ci sia stata anche la liberazione dalle proibizioni, dalle regole e dalle convenzioni di tipo etico e sociale, sembra essere certo; e questo spiega in parte l'adesione massiccia delle donne [14]. |
Certo, la frenesia provocata dalla possessione divina - la ‘follia'
- dava da pensare a molti autori, e spesso incoraggiava l'ironia e la derisione.
Erodoto (IV, 78-80) riferisce l'avventura di un re scita, Skylas, che si era
fatto «iniziare ai riti di Dioniso Baccheios» a Olbia
sul Boristene (Dniepr). Durante la cerimonia (telete), posseduto dal dio,
faceva «il baccante e il folle». Con molta probabilità
si trattava di una processione in cui gli iniziati, «sotto il dominio
del dio» si lasciavano trascinare da una frenesia che gli astanti, e
anche gli stessi posseduti, consideravano come ‘follia' (mania). Erodoto si limitava a riferire una storia che gli era stata raccontata a Olbia. Demostene, con l'intenzione di mettere in ridicolo il suo avversario Eschine, ci rivela però in realtà, in un suo celebre passo (Sulla corona, 259), certi riti dei piccoli tiasi (Bacchein) celebrati, nell'Atene del IV secolo, dai fedeli di Sabazios, dio tracio omologo di Dioniso (gli antichi lo consideravano d'altra parte come Dioniso tracio nel suo nome indigeno) [17]. |
Pare ormai assodato il carattere iniziatico e segreto dei tiasi privati (v.
supra, le Baccanti 470-474) [18], benché almeno una parte delle cerimonie
(per esempio le processioni) siano state pubbliche. È difficile precisare
quando, e in quali circostanze, i riti segreti e iniziatici dionisiaci abbiano
assunto la funzione specifica alle religioni dei Misteri. Eminenti studiosi quali Nilsson e Festugière contestano l'esistenza di un Mistero dionisiaco, perché mancano precisi riferimenti alla speranza escatologica. Ma si potrebbe obiettare che, soprattutto per il periodo antico, disponiamo di scarsissime conoscenze dei riti segreti, per non dire poi del loro significato esoterico (che senza dubbio esisteva, dato che i significati esoterici dei riti segreti sono attestati ovunque nel mondo, a tutti i livelli di cultura). |
Il carattere ‘misterico' del culto si precisa soprattutto a partire
da Dioniso-Zagreus. il mito dello smembramento del fanciullo Dioniso-Zagreus
ci è pervenuto soprattutto attraverso autori cristiani [20]. Come prevedibile,
essi ce lo presentano evemerizzato, incompleto e in modo piuttosto tendenzioso.
Ma proprio perché erano liberi dalla proibizione di parlare apertamente
di cose sante e segrete, gli scrittori cristiani ci hanno comunicato molti
particolari preziosi. Era invia i Titani, che attirano Dioniso-Zagreus con alcuni balocchi (ninnoli, crepundia, uno specchio, un gioco di aliossi, una palla, una trottola, un rombo), lo massacrano e lo fanno a pezzi. Fanno cuocere i pezzi in un calderone e, secondo certe versioni, lo divorano. Una dea - Atena, Rea o Demetra - riceve, o salva, il cuore e lo pone in un cofanetto. Venuto a sapere del delitto, Zeus folgora i Titani. Gli autori cristiani non accennano alla resurrezione di Dioniso, ma questo episodio era noto agli antichi. L'epicureo Filodemo, contemporaneo di Cicerone, parla delle tre nascite di Dioniso, «la prima da sua madre, la seconda dalla coscia e la terza quando, dopo lo squartamento da parte dei Titani, ritorna in vita dopo che Rea ne ha ricomposto le membra» [21]. Firmico Materno conclude aggiungendo che a Creta (dov'egli ambienta la sua storia evemerizzata) l'assassinio veniva commemorato da riti annuali, che ripetevano ciò che il «fanciullo aveva compiuto e subìto al momento della morte»: «nel profondo della foresta, emettono strani clamori e simulano la follia di un essere furioso», facendo credere che il delitto è stato compiuto in preda a follia e «dilaniano coi denti un toro vivo». |
Nel ‘delitto dei Titani' si può dunque riconoscere un antico
scenario iniziatico di cui si era perduto il significato originario. I Titani
si comportano da Maestri d'iniziazione, vale a dire ‘uccidono' il novizio,
allo scopo di farlo ‘ri-nascere' a un tipo superiore di esistenza (nel
nostro esempio si potrebbe dire che essi conferiscono divinità e immortalità
al fanciullo Dioniso). Ma, in una religione che proclamava la supremazia assoluta
di Zues, i Titani potevano svolgere soltanto un ruolo demoniaco - e perciò
furono fulminati. Secondo alcune varianti, gli uomini sono stati creati dalle
loro ceneri - e questo mito ha svolto un ruolo considerevole nell'orfismo. Il carattere iniziatico dei riti dionisiaci si può scorgere anche a Delfi, quando le donne celebravano la rinascita del dio. Infatti il vaglio delfico «conteneva un Dioniso smembrato e pronto a rinascere, uno Zagreus», come dice Plutarco (De Iside, 35), e questo Dioniso «che rinasceva come Zagreus era allo stesso tempo il Dioniso tebano, figlio di Zeus e di Semele» [26]. Diodoro Siculo sembra riferirsi ai Misteri dionisiaci, quando scrive che «Orfeo ha trasmesso nelle cerimonie dei misteri lo smembramento di Dioniso» (V, 75, 4). E in un altro passo Orfeo viene presentato come un riformatore dei Misteri dionisiaci: «È per questo che le iniziazioni dovute a Dioniso sono chiamate orfiche» (III, 65,6). |
Più ancora degli altri dèi greci, Dioniso sorprende per la molteplicità
e la novità delle sue epifanie, per la varietà delle sue trasformazioni.
È in perenne movimento; penetra ovunque, in tutti i paesi, presso tutti
i popoli, in tutte le religioni, pronto ad associarsi a divinità diverse,
anzi perfino antagoniste (per esempio Demetra, Apollo). È, senza dubbio,
l'unico dio greco che, rivelandosi sotto aspetti differenti, affascina e attrae
tanto i contadini che le élites intellettuali, i politici e i contemplativi,
gli orgiastici e gli asceti. L'ebbrezza, l'erotismo, la fertilità universale,
ma anche le esperienze indimenticabili suscitate dal ritorno periodico dei
morti, o dalla mania, dallo sprofondare nell'incoscienza animale o dall'estasi
dell'enthousiasmos - tutti questi terrori e rivelazioni hanno un'unica
origine: la presenza dei dio. La sua natura esprime l'unità paradossale
della vita e della morte. Per questo, Dioniso costituisce un tipo di divinità
radicalmente diverso dagli Olimpî. Era forse, tra tutti gli dèi,
il più vicino agli uomini? In ogni caso ci si poteva avvicinare a lui,
si giungeva a incorporarlo, e l'estasi della mania dimostrava che la condizione
umana poteva essere oltrepassata.
Questi rituali erano suscettibili di sviluppi inattesi. Il ditirambo, la tragedia,
il dramma satirico sono, in modo più o meno diretto, creazioni dionisiache.
È appassionante seguire la trasformazione di un rito collettivo, il dithyrambos, implicante la frenesia estatica, in spettacolo e infine
in genere letterario [27]. Se, da un lato, certe liturgie pubbliche sono diventate
spettacoli e hanno fatto di Dioniso il Dio del teatro, altri rituali invece,
segreti e iniziatici, si sono evoluti in Misteri. Perlomeno indirettamente,
l'orfismo è debitore alle tradizioni dionisiache. Più di tutti
gli altri dèi olimpici, questo dio giovane non cesserà di gratificare
i suoi fedeli con nuove epifanie, messaggi inattesi e speranze escatologiche.
Note
[1] Pindaro, fr. 85; Erodoto, II, 146; Euripide, Le Baccanti, 94 ss.; Apollodoro,
Bibl., III, 4, 3, ecc.
[2] Iliade, XIV, 323, la definisce «una donna di Tebe», ed Esiodo,
Teogonia, 940 ss., una «donna mortale».
[3] Cfr. H. Jeanmaire, Dionysos, p. 76; su Licurgo e le iniziazioni di pubertà,
cfr. id., Couroï et Courètes, p. 463 ss.
[4] Si tratta di un frammento di Pilo (X a 0 6) nella lineare B.
[5] Si è cercato di vedere in Dioniso un dio dell'albero, del ‘grano'
o della vite, e si è interpretato il mito del suo smembramento come
un'illustrazione della ‘passione' dei cereali o la preparazione del
vino; già i mitografi citati da Diodoro, III, 62.
[6] Cfr. i testi e i riferimenti discussi da W. Otto, pp. 162-164.
[7] Il fatto che queste due feste portassero i nomi dei mesi corrispondenti
-Lenaion e Antesterion- dimostra il loro arcaismo e il loro carattere panellenico.
[8] Fu il genio delle processioni dei Misteri eleusini ad essere assimilato
a Dioniso; le fonti sono discusse da W. Otto, op. cit., p. 80; cfr. Jeanmaire,
op. cit., p. 47.
[9] Ricordiamo che si tratta di uno scenario estremamente arcaico e diffuso
ovunque, uno dei principali retaggi della preistoria che svolge ancora un
ruolo privilegiato in ogni forma di società.
[10] Si tratta di un'unione completamente diversa da quella, per esempio,
di Bel a Babilonia (la compagnia di una ierodula quando il dio si trovava
nel tempio) o della sacerdotessa che doveva dormire nel tempio di Apollo a
Patara, allo scopo di ricevere direttamente dal dio la saggezza che poi avrebbe
rivelato attraverso l'oracolo; cfr. Otto, p. 84.
[11] Sofocle, Tieste (fr. 234) e le altre fonti citate da Otto, p. 98 ss.
[12] Si conoscono altri esempi di ‘follia' provocata da Dioniso, quando
non era riconosciuto come dio: ad esempio, le donne di Argo (Apollodoro, II,
2, 2; III, 5, 2); le figlie di Minia a Orcomeno, che dilaniarono e divorarono
uno dei loro figli (Plutarco, Quaest. gr. XXXVIII, 299 e).
[13] Nel V secolo Tebe era diventata il centro del culto, perché là
Dioniso era stato generato e là si trovava anche la tomba di Semele.
Ciò nondimeno non si era scordata la resistenza dei primi tempi e uno
degli insegnamenti delle Baccanti era senz'altro questo: che non si deve rifiutare
un dio perché lo si considera ‘nuovo'.
[14] Tiresia difende però il dio: «Dioniso non obbliga le donne
ad essere caste. La castità dipende dal carattere, e quella che è
casta di natura parteciperà alle orge senza corrompersi» (Bacc.,
314 ss.).
[15] Ricordiamo che ciò che distingue uno sciamano da uno psicopatico
è il fatto che egli riesce a guarirsi e finisce poi col disporre di
una personalità più forte e più creativa del resto della
comunità.
[16] Rohde aveva confrontato l'espansione della religione estatica di Dioniso
e le epidemie di danze convulsive del Medioevo. R. Eisler richiamò
l'attenzione sugli Aissaua (Isawiya), che praticano l'omofagia rituale (chiamata
frissa, dal verbo farassa, ‘sbranare'). Dopo essersi identificati misticamente
nei carnivori, di cui portano il nome (sciacalli, pantere, leoni, gatti, cani),
gli adepti fanno a brani, sventrano e divorano bovini, lupi, montoni, pecore,
capre. La manducazione delle carni crude è seguita da una danza sfrenata
di giubilo «per gioire ferocemente dell'estasi e comunicare con la divinità»
(R. Brunnel).
[17] Secondo le antiche glosse, il termine saboi (o sabaioi) era l'equivalente,
in lingua frigia, del greco bacckhos; cfr. Jeanmaire, Dionysos, pp. 95-97.
[18] Ricordiamo che durente la festa delle Antesterie, certi riti erano effettuati
unicamente dalle donne, nel segreto più rigoroso.
[19] Il culto di Dioniso fanciullo era conosciuto in Beozia e a Creta, ma
finì per diffondersi anche in Grecia.
[20] Firmico Materno, De errore prof. relig., 6; Clemente Alessandrino, Protrept.,
II, 17, 2; 18, 2; Arnobio, Adv. Nat., V, 19; i testi sono riprodotti in Kern,
Orphica fragmenta, pp. 110-111.
[21] De piet., 44; Jeanmaire, p. 382.
[22] Fr. 3, Kinkel I, p. 77; cfr. anche Euripide, fr. 472; per Callimaco (fr.
171) Zagreus è un nome particolare di Dioniso; v. altri e sempi in
Otto, p. 191 ss.
[23] Demostene, De cor., 259. Quando partecipavano alle feste dionisiache
gli Argivi si impiatsricciavano il viso di gesso. Si sono sottolineati i rapporti
tra il gesso (titanos) e i Titani (Titanes), ma questo complesso mitico-rituale
fu occasionato proprio dalla confusione tra i due termini (cfr. già
Farnell, Cults, V, p. 172).
[24] Cfr. il ‘problema' attribuito ad Aristotele (Didot, Aristotele,
IV, 331, 15), discusso, dopo Salomon Reinach, da Moulinier, p. 51. Nel III
secolo, Euforione conosceva una tradizione analoga; ibid., p. 53.
[25] Jeanmaire, Dionysos, p. 387. V. altri esempi in Marie Delcourt, L'Oracle
de Delphes, p. 153 ss.
[26] Delcourt, op. cit., pp. 155, 200. Plutarco, dopo aver parlato dello squartamento
di Osiride e della sua risurrezione, si rivolge all'amica Clea, la leader
delle Menadi di Delfi: «Che Osiride sia la stessa persona di Dioniso,
chi potrebbe saperlo meglio di voi che dirigete le Tiadi, che siete stata
iniziata da vostro padre e da vostra madre ai misteri di Osiride?»
[27] Il ditirambo, «girotondo destinato, in occasione del sacrificio
di una vittima, a produrre l'estasi collettiva con l'aiuto dei movimenti ritmici
e di acclamazioni e grida rituali, si è potuto -proprio nel periodo
(VII-VI secolo) in cui nel mondo greco si sviluppa la grande lirica corale-
evolvere in genere letterario per l'accresciuta importanza delle parti cantate
dall'exarchon, per l'alternarsi di brani lirici su temi più o meno
adattati alla circostanza e alla persona di Dioniso» (Jeanmaire, op.
cit., p. 248 ss.).
da: Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I: Dall'età
della pietra ai Misteri Eleusini, tr. it. Sansoni, Firenze 1979, 388-403
TRATTO DA
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=2195
Orghia sacra a Dioniso
di Gabriele La Porta
Ha ragione il ragazzo ad emozionarsi, dopo sei anni, dopo sei estati passate con gli zii materni in questa parte sud occidentale della Tracia, finalmente il grande Sitalce, alto quasi due, metri, marito della sorella della madre di Anteo, ha permesso al ragazzo di assistere alle sacre cerimonie del “figlio di dio". «Sei certo che non ti spaventerai? Sei sicuro che non cadrai in lacrime come tutti i tuoi compatrioti ateniesi quando vedete cerimonie che non capite? Sei convinto di poter resistere alla notte divina? Sei preparato a tutte le possibili manifestazioni del dio furente?» A tutte le domande dello zio Anteo si è affrettato a rispondere sempre affermativamente. Forse il suo entusiasmo, la sua gioia, la sua profonda curiosità hanno convinto Sitalce a condurre il suo giovane parente alla cerimonia "del buio" sui monti, anche se nella mente dell'uomo c'è sempre il dubbio che Anteo possa spaventarsi. Gli ateniesi e i greci non sono preparati ai grandi riti, loro che hanno cristallizzato le cerimonie religiose in offici privi di emozioni; loro che hanno relegato i riti della terra nera in vuoti inni serali e in sciocche filastrocche cantate al tramonto dalle vecchie megere prive di senno. Ma questo ragazzo sembra così diverso agli occhi del guerriero trace, c'è in lui un'impulsività, una forza, una capacità di intuizione che non sono tipiche degli spocchiosi ellenici. Per questo ha accettato le preghiere di sua moglie Berisade e l'ha ospitato per tanti anni ad agosto nella sua casa. Sì, quel sedicenne gli è simpatico, sarà che ha avuto cinque figlie femmine e nessun maschio, sarà per quegli occhi troppo azzurri per essere normali, ma l'uomo d'arme trace si è convinto a portarlo alla "festa danzante". Dunque il cuore sta correndo nel torace del giovane greco, perché nel buio e nel silenzio assoluto le fiamme hanno squarciato la notte e un rumore sordo si sta propagando "con oppressione tremenda" lungo la terra, attraverso le piante, i fiori, le zolle. Sono centinaia le persone che stanno avanzando verso il monte con fiaccole in mano. Le torce sono state trattate con misure di alcool di miele e ginepro; un profumo acre, penetrante si diffonde nell'aria e inebria i partecipanti. Due file parallele di persone marciano verso la sommità del monte, sono tutti vestiti di bianco, senza alcuna distinzione sociale o politica. Il greco si inserisce tra di loro ad un cenno di Sitalce, che già si trova all'interno della "processione" a cui partecipano tutti gli abitanti di Manole.
AI primo fanno seguito due, tre, mille grida femminili e immediatamente tutti i partecipanti si sparpagliano e cominciano a correre a perdifiato verso la sommità della montagna. Anche lui comincia ad andare a perdifiato, senza guardare nulla davanti a se. Rami, felci, arbusti lo ostacolano, lo graffiano, ma non gli impediscono di proseguire. Si arresta un attimo e si accorge che le grida si sono moltiplicate, mentre tamburi echeggiano per ogni dove, sono dei veri rombi di tuono che si inseguono nella foresta. «Ad un certo momento la montagna canterà», gli era stato detto, e quei suoni sono davvero troppo potenti per essere creati dai musici. Fossero anche in diecimila non riuscirebbero a creare un effetto così titanico. Di slancio supera un cespuglio, si fa largo tra un ginepraio di arbusti e piomba in una radura. Si paralizza. Una ventina di donne stanno danzando in tondo. al centro un uomo che suona il flauto, le note penetranti si insinuano nel cervello. Il tuono esterno agisce sul corpo, lo strumento a fiato sulla mente. Due forze prepotenti che obbligano il greco ad avvicinarsi alle danzanti, ma prima di essere visto un sesto senso avverte il giovane di nascondersi, di osservare senza essere notato.
Tutti si precipitano a bere. «Ma non è possibile» riflette Anteo, e sono le ultime parole logiche che la sua mente riesce a pensare. Perché una tempesta emotiva lo costringe ad uscire allo scoperto e a ristorarsi alla fonte creata dal nulla. È latte e miele; una delizia indescrivibile gli scende lungo le viscere, lo invade cellula dopo cellula in tutto il corpo. Lo inebria. Una felicità senza nome occupa ogni spazio della sua mente.
Così Anteo, figlio di Ippomene, della famiglia degli Ippia, conobbe l'estasi nel V secolo avanti Cristo, in Tracia. Là dove ha avuto origine il rituale sacro di Zagreo, ovvero Zeusnysos, ovvero giovinetto di Zeus, figlio di Zeus, in greco Dioniso. Forse la divinità più straordinaria mai scaturita dal genio creativo dei popoli (1). |
Dioniso, l' ambiguo
Con un esame filologico ineccepibile e con uno studio comparato di tutti i
miti e di tutte le fonti, Colli ha illuminato, nei volumi La sapienza Greca,
tutte le valenze di Dioniso.
Questo dio si manifesta sulla terra sotto varie forme. La più antica
è quella del Minotauro, il mostro cretese che viene ucciso da Teseo
con l'aiuto di Arianna all'interno del labirinto.
Dioniso è però
anche un gentile fanciullo dai riccioli biondi e contemporaneamente
un bellissimo uomo che incanta le donne e le trascina all’estasi. Più
facce di una stessa medaglia che continuamente si inseguono in un crogiuolo
di significati.
La mente razionale dell’uomo contemporaneo è impotente a comprendere
tutti i sensi iniziatici racchiusi all’interno di questo dio. E’
come se gli antichi padri della “sapienza prisca” avessero
tramandato un gigantesco rebus dalle insondabili profondità.
Cerchiamo di esaminare questo “rompicapo celeste”, così
come è stato definito dal filosofo Bachofen
Il mito e il suo mistero iniziatico
Pasifae, signora di Creta, è colta da una passione incontrollabile
nei confronti del toro sacro.
Per potersi unire con lui si fa costruire dall’architetto Dedalo un
simulacro igneo di una vacca. La regina si introduce all’interno e riesce
ad accoppiarsi con l’animale. Dall’unione nasce il terribile Minotauro,
metà uomo e metà toro. Il “mostro” si nutre di vergini
e per bloccare in qualche modo la sua fame in saziabile viene introdotto con
uno stratagemma all’interno del Teseo, l’eroe straniero, che è riuscito a giungere negli inestricabili
cunicoli grazie ad Arianna, sorella dello stesso Minotauro.
L’uccisore e la principessa, dopo aver eliminato la “bestia”
fuggono su una nave. Ma dall'alto dei cieli sono scorti da Artemide, anche
lei sorella del Minotauro, che per vendicare il fratello scocca una freccia
infallibile e uccide Arianna. Teseo torna solo in patria e appena giunto a
terra compie una danza di ringraziamento. Fin qui il mito sembra perfettamente
comprensibile. Ma ecco che gli studi filologici di Colli aprono insospettabili
complessità. Infatti il nome Minotauro può essere tradotto anche
in "Stellante" ed Arianna in "Colei che fa assumere in cielo
".
La freccia che la uccide significa "pensiero folgorante".
Inoltre la danza che compie Teseo è "quella della gru", ovvero
"danza del labirinto", o anche "ballo dell'estasi". In
questa nuova chiave il mito significa che grazie ad Arianna il Minotauro è
assunto in cielo e la ricompensa per la donna è il pensiero intuitivo.
Teseo celebra l'avvenimento con un rito estatico che permette all'uomo-eroe
di concepire in se alcuni aspetti del divino.
C'è
anche dell'altro. Dioniso è descritto dai sapienti come “colui
che si guarda allo specchio”., ma l'immagine riflessa non è quella
del dio, bensì del mondo degli uomini. Questo vuol dire che il creato
è apparenza, ombra, dell'eterno'...
Perché Platone ha anche tramandato nella
VII lettera che «nessun sapiente affiderebbe alla scrittura nulla di
veramente importante». Ultimo inquietante interrogativo che deve servirci
ad ulteriori riflessioni. Anche perché Platone per esprimere questo
concetto contro la scrittura adopera proprio la scrittura!
Note
(1) Nel descrivere in forma narrata il rito iniziatico ci si è basati
su Erwin Rohde, Psiche edizioni Laterza, vol. II, da pag. 338 a pag. 459;
su Giorgio Colli La nascita della filosofia, ed Adelphi, pag. 41-6°; su
Giorgio Colli La sapienza greca, introduzione al vol. I.
Interamente tratto da http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=8421
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